Le innovazioni di legge hanno lo scopo di spingere le donne a superare la dipendenza dall’ex marito. Funzioneranno davvero? Ecco perché le perplessità a riguardo sono molte
È una sentenza che sta già facendo discutere quella con cui la Corte di Cassazione, negli scorsi giorni, ha stravolto il suo trentennale orientamento giurisprudenziale in materia di assegno divorzile. Un cambiamento di rotta che ha totalmente declassato il ruolo del tenore di vita quale parametro per stabilire se l’assegno divorzile sia o meno dovuto, espungendolo dai criteri che devono essere osservati non solo ai fini del suo riconoscimento, ma anche ai fini della sua determinazione.
Ciò che è necessario valutare – ha spiegato la Corte – è solo ed esclusivamente l’autosufficienza economica dell’ex coniuge che richiede l’assegno, a nulla rilevando quale fosse il suo precedente tenore di vita.
Ma dove ci porterà questa sentenza? Chi saranno i vinti e chi i vincitori?Sicuramente, è opportuno tenere in considerazione la giovane età del neonato provvedimento, sul quale, ancora, non si è costruito un orientamento giurisprudenziale. Ci sarà da aspettarsi che, in tempi non troppo lontani, la Cassazione nuovamente si pronunci sulla stessa questione, magari riproponendo il vecchio orientamento. In questo caso, solo le Sezioni Unite potranno dirimere il conflitto ed indicarci in termini chiari quale sia la strada da seguire.
È un modo per tutelarsi in via preventiva e per mettersi al riparo da una giurisprudenza in materia sempre più oscillante, che pretende di dar voce ad un principio – il superamento degli stereotipi di genere – che non è ancora stato totalmente raggiunto
Ad oggi, tuttavia, è piuttosto prematuro azzardare previsioni sull’impatto che questo precedente giurisprudenziale potrebbe avere sulle coppie che, di qui a breve, vorranno divorziare. Eppure, è verosimile ipotizzare che i soggetti che maggiormente risentiranno di tale sentenza saranno le donne. E tra di loro in particolare quelle che hanno goduto di un tenore di vita agiato, non tanto per meriti propri, quanto, piuttosto, per via dei guadagni del marito.
In ogni caso, in un quadro nazionale in cui, a ben vedere, la famiglia italiana è tutt’oggi ancorata a un modello familiare tradizionalistico, è bene auspicare che anche le donne, specialmente le più giovani, si aprano al mondo e alle opportunità lavorative che lo stesso offre loro, non relegandosi al mero ruolo di moglie e madre, ma imparando a conciliare tali ruoli con la carriera professionale.
Sarà inoltre necessario rivalutare la possibilità di regolamentare i patti prematrimoniali, confidando in un intervento del legislatore nel senso di ammetterli e di riconoscere ai coniugi quell’autonomia contrattuale nel regolare i loro rapporti, personali e patrimoniali, che in molti altri paesi europei è già stata raggiunta. Altrettanto consigliata, in una prospettiva garantistica individuale, è la scelta, in sede di matrimonio, del regime di comunione dei beni che dovrà essere preferito rispetto al regime della separazione.
In caso di divorzio, infatti, tutti i beni caduti in comunione e confluiti nel patrimonio comune verrebbero suddivisi in pari quote tra i coniugi, così parzialmente compensando gli eventuali effetti negativi derivanti dalla negazione dell’assegno di divorzio.
Senza dimenticare che vi è la possibilità di stipulare, prima del matrimonio o nel corso dello stesso, delle convenzioni matrimoniali, con le quali i coniugi potranno “costruirsi” un regime patrimoniale su misura.
Insomma, un modo per tutelarsi in via preventiva e per mettersi al riparo da una giurisprudenza in materia sempre più oscillante, che pretende di dar voce ad un principio – il superamento degli stereotipi di genere – che non è ancora stato totalmente raggiunto.
In una prospettiva ottimistica, ma aspetto che questa sentenza, al di là delle perplessità che ha sollevato, da un lato incentivi le donne a riprendersi quel posto nella società che, per anni, si sono autonegate; dall’altro, disincentivi chi, al contrario, negli ultimi dieci, quindici anni, ha approfittato del proprio ruolo di ex moglie per vivere solo sulle spalle del proprio ex marito, uccidendo le proprie ambizioni in nome di un vivere comodamente parassitario.
E chissà che le battaglie per la vera parità in famiglia e sul posto di lavoro non passino anche attraverso questa sentenza.
Fonte: www.linkiesta.it