di Rebecca Romoli
Firenze – Ognuno pubblica quotidianamente sui social qualsiasi cosa dalle foto ai video alle carte di identità prima di partire per una vacanza. E quasi tutti se non la maggioranza gioca a quei quiz “Come sarai tra 50 anni” oppure “A che attrice/attore assomigli” e nessuno si prende 5 minuti per leggere le condizioni di accesso e di uso e vedere cosa ne sarà poi di dati che il gioco o l’applicazione memorizza. Dopo purtroppo ce ne pentiamo, perché come ci spiega Marisa Maraffino abbiamo “fretta di divorare le informazioni, di divertirci e passare il tempo”.
Avvocato, 37 anni, toscana empolese di nascita residente a Milano per lavoro, Marisa Maraffino fin dalla nascita di Facebook si è resa conto dei grandi cambiamenti che i social network avrebbero apportato alla nostra vita nonché anche alla nostra privacy. Appena laureata è stata una delle prime a colmare un vuoto nella difesa delle vittime dai reati informatici e quindi a dare il là all’applicazione del diritto anche nei social.
Oggi ha un studio a Milano e tratta cause relative a reati commessi online, tutela della reputazione aziendale e dei privati con particolare riferimento ai new media e alla gestione della privacy.
Vorrei porle la stessa domanda che Roberto Saviano ha fatto su Repubblica a Edward Snowden sul suo ultimo libro “Errore di Sistema”. Non c’è modo di difendere la nostra privacy?
In realtà c’è modo. Devo dire la verità c’è poca conoscenza degli strumenti informatici da parte del cittadino, quindi quello che occorre che sia un po’ più diffusa la cultura informatica che ad oggi nel nostro paese manca.Detto questo ci sono anche tante impostazioni sulla privacy che i social network ci consentono di mettere, ma questo non basta. Dobbiamo tenere presente che contenuti che noi pubblichiamo sui vari social network possono essere condivisi da altri e può sfuggire al nostro controllo. Nessuno legge mai le condizioni di utilizzo dei social network per la fretta che abbiamo di divorare contenuti. Questo perché internet molto spesso serve per combattere la noia e quando giochiamo ci dimentichiamo di proteggere la nostra privacy. Questo a mio parere è il vero aspetto fondamentale.
Ma è sempre colpa della nostra fretta e disattenzione?
No a volte sono gli stessi social network o provider a commettere degli errori, quindi ci sono dei data breach, degli accessi non autorizzati e in questo caso dovrebbero essere i social a mettere delle misure di sicurezza. L’utente dovrebbe fare affidamento su delle piattaforme che gestiscano i dati in modo corretto. E’ vero anche che è difficile per l’utente controllare quello che viene fatto con i dati. Un esempio su tutti diamo i nostri dati ad una compagnia telefonica e poi ci contatta qualcun’ altro per motivi diversi. A volte c’è il sospetto fondato o meno che questi dati vengono ceduti senza il nostro consenso. Per questo motivo l’Europa si è dotata del Gdpr un normativa che ha come obiettivo quello di arginare questi rischi con informative più trasparenti e più sicurezza per i cittadini.
Allora tutte le liberatorie che noi firmiamo a cosa servono?
La normativa italiana è tra le più garantiste nel mondo. Abbiamo un apparato di legge a livello di privacy che pone per le azienda un onere grosso a livello di investimenti per tutelare la privacy delle persone. Si citava gli ospedali e le compagnie di assicurazione se sbagliano hanno delle sanzioni enormi. Con il Gdpr possono arrivare fino al 4% del fatturato ed anche di più dipende dalla violazione che hanno fatto. Il cittadino ha gli strumenti per proteggersi. Se ha la sensazione che i propri dati vengano ceduti venduti che un informativa è incompleta ha lo strumento di segnalare questo al Garante per la protezione dei dati personali. A volte è legittima la paura del cittadino, può accadere che i dati vengano ceduti o inconsapevolmente o dolosamente. Quello da tenere presente è che oggi le informazioni sono il petrolio del mondo, sono un business e su questo il cittadino deve imparare a tutelarsi anche da se.
A volte sembra che non ci sia comunicazione tra il social network ed il cittadino che ci sia una distanza. Cosa fare in questo caso?
E’ vero che negli ultimi anni si è creato un disequilibrio fra social network e cittadino, ma ci sono delle accortezze che noi tutti potremmo fare quando usiamo internet. Leggere le informative, le condizioni di uso e capire a chi stiamo dando i nostri dati personali. Oggi lo facciamo con il Gdpr siamo noi che decidiamo se ricevere o no una newsletter, se essere profilati, o se i nostri dati devo essere ceduti. Se non vogliamo basta un X sul no, ma dobbiamo leggere.
Abbiamo parlato di Gdpr, dell’attenzione sempre crescente, ma a livello legale a che punto siamo?
A livello legale c’è un grosso ritardo nelle leggi a tutela dell’utente. Siamo stati assopiti fino al 2018 ed ora ci svegliamo e cominciano a mettere le regole sulla tassazione quando questi sono diventati dei giganti del web e quindi diventa tutto più difficile. Gli strumenti ci potrebbero essere, ma servono soluzioni condivise. Non ci può essere una legge sulla privacy in Europa e una nel resto del mondo. Internet è globale e quindi non si può fare una legge efficace solo in Italia solo su un aspetto come il cyberbullismo. Quello che bisogna fare è a livello mondiale.
Assieme al Gdpr un’altra innovazione è il diritto all’oblio…
Adesso sul diritto all’oblio si sta già facendo molto anche nei tribunali italiani siamo riusciti ad accorciare i tempi il Gdpr lo ha cristallizzato. Adesso c’è la possibilità di vedere aggiornata una notizia che non è più attuale e di vederla deindicizzata, resta il ritardo nella cancellazione dei contenuti. Se io vedo un immagine negativa pubblicata senza il mio consenso e questa viene condivisa su diverse piattaforme l’utente a diverse difficoltà a farlo rimuovere. Si sta facendo molto ma a mio parere non è abbastanza.
Quali sono le maggiori difficoltà che un utente affronta per vedere riconosciuti i propri diritti?
Il vero problema è che gli utenti non si rivolgono ad un avvocato per avere giustizia su questa cosa. A volte sono intimoriti dai costi per poi difendersi da un commento negativo. Si tende a rispondere ai commenti in prima persona e questo contribuisce ad indicizzare ancora di più il contenuto e si perde tempo.
Il mio consiglio è rivolgersi subito ad un legale e cercare di avere tutela dei propri diritti. Quello che noi facciamo è rivolgersi direttamente alla piattaforma ed individuare che ha scritto quel contenuto; a volte non è possibile individuarlo a causa di nick name, nomi falsi e via dicendo. Alle volte dietro un nick name rimane un punto interrogativo ed allora ci possiamo rivolgere ai motori di ricerca che non sempre rispondo o rispondono ma non in tempi rapidi.
Se succede nel nostro paese, visto che in America la diffamazione è un reato civile, possiamo fare una denuncia una querela ed volte la polizia postale riesce ad individuare chi c’è dietro. Per questo motivo, a volte Facebook non ci ha aiutato perché in America appunto la diffamazione non è reato.
Ci sono stati casi in cui Facebook o Google o altri grandi network hanno fatto un passo indietro?
Ci sono stati casi in cui un ex ha pubblicato in una chat, su un social o su un sito erotico un video intimo della ex per vendicarsi, e poi alla malcapitata gli arriva direttamente la notizia. In questi casi noi agiamo direttamente verso le piattaforme e cerchiamo di farli rimuovere. Adesso stiamo facendo un processo a Lecco che secondo me sarà interessante vedere. Una persona ha preso le identità delle donne single della provincia di Lecco e ne ha fatto un catalogo che viene venduto. Un utilizzo illecito dei dati dei soggetti e noi per i clienti che rappresentiamo abbiamo bloccato la vendita con querela e ci siamo costituiti parte civile nei confronti di chi ha creato il catalogo e non del social. A proposito di questo importante è la sentenza del tribunale di Milano che ha stabilito che dopo 4 anni la notizia può essere deindicizzata se non è più di interesse pubblico.
Quali altri casi vi sono capitati?
Molto spesso dobbiamo aiutare persone che vendono macchine online su diverse piattaforme ma si dimenticano di oscurare la targa e poi magari vengono rubate le identità, i dati personali per fare contratti di lavoro falsi oppure la targa viene clonata per commettere reati penali come le rapine. Altro consiglio che posso dare e di non mettere le foto delle carte di identità o del passaporto sui social perché non si sa mai.
Il web potrà mai essere più libero?
Come tutti gli strumenti Internet è neutrale. Il web è uno strumento meraviglioso ha unito il mondo, ti consente di avere informazioni che prima non avevamo ha dato da lavorare a molte persone.Ripeto lo strumento è naturale sta a noi usarlo nella maniera migliore possibile.
Io ho molta fiducia nelle generazioni digitali sono cresciuti con internet e quindi lo conoscono meglio, se gli adulti gli aiutassero ad usarli al meglio tutto sarebbe più semplice.
E’ una risorsa, fonte di lavoro e lo sarà sempre più in futuro va usato con cautela, e conoscendo lo strumento ed i rischi a cui si va incontro e conoscendo tutti gli accorgimenti per proteggere la nostra privacy.
Fonte: www.stamptoscana.it