di Luciano Quarta
Il mancato rispetto di una norma rischia di creare uno tsunami di annullamenti a favore dei cittadini che faranno ricorso. Ecco perché
C’è una spada di damocle che pende praticamente su tutti gli atti posti in essere dall’Agenzia delle Entrate riscossione, che potrebbero essere considerati tutti, senza alcuna distinzione, invalidi.
Di cosa si tratta? La legge che nel 2016 ha soppresso Equitalia ha disposto il passaggio, senza soluzione di continuità, di tutto il personale in blocco nella neo costituita Agenzia delle Entrate Riscossione. Questo passaggio quindi, ha avuto luogo in modo automatico, senza alcun concorso.
Il punto è che, mentre Equitalia era una società di diritto privato, il nuovo ente della riscossione ha la natura di ente pubblico, per espressa disposizione della stessa legge e questo comporta un problema: ai sensi dell’art. 97 Cost. l’assunzione di personale di tutte le pubbliche amministrazioni deve avvenire per concorso e il principio vale ancor di più per i dipendenti che assumono la qualifica di dirigenti. Se questo non avviene, secondo giurisprudenza pacifica, il rapporto che si instaura è nullo. Questo vuol dire che viene meno il titolo che consente l’attribuzione di poteri e funzioni in particolare ai dirigenti, e cioè, a quei soggetti a cui, secondo l’art. 4 D.Lgs. 165/2001, spetta di adottare gli atti che impegnano le pubbliche amministrazioni verso l’esterno. Non solo: l’art. 52 dello stesso decreto stabilisce che è nulla (e quindi priva di effetti) l’attribuzione in via di fatto delle funzioni dirigenziali.
Ora, questo problema è stato sollevato da un’associazione, Dirpubblica, che storicamente tutela i dirigenti della pubblica amministrazione, che ha proposto ricorso al TAR Lazio, chiedendo l’annullamento degli atti di attribuzione indiscriminata e senza concorso delle funzioni dirigenziali nel nuovo Ente di riscossione: è comprensibile infatti, che una categoria di persone che hanno sudato per acquisire la loro condizione di dirigenti sostenendo esami e concorsi e che magari avrebbero potuto ambire ad assumere posizioni dirigenziali all’interno del nuovo ente, si opponga ad un simile passaggio, consumato con un semplice tratto di penna.
Il giudizio, però, ha avuto un corso piuttosto travagliato e per certi versi inaspettato. Nel corso del procedimento, infatti, è intervenuta una importante decisione del Consiglio di Stato (cioè del giudice di grado superiore) durante la fase cautelare del giudizio. L’organo di massimo grado della giustizia amministrativa con l’ord. n. 3213/2017 ha affermato che le questioni sollevate da Dirpubblica presentavano profili di evidente fondatezza, con un esplicito richiamo alla giurisprudenza della Corte Costituzionale che già in altre occasioni ha dichiarato l’incostituzionalità di disposizioni legislative che hanno consentito l’attribuzione delle funzioni di dirigente senza concorso. Il TAR, però, nonostante questa indicazione piuttosto netta, con la sent. n. 6307/2019 del 23.5.2019 ha deciso di rigettare il ricorso, ma lo ha fatto senza affrontare nè risolvere la questione dell’incostituzionalità sollevata da Dirpubblica, sostenendo che l’associazione non era legittimata a presentare il ricorso.
In altre parole, con un escamotage processuale il Tar si è risparmiato il fastidio di affrontare una questione estremamente spinosa.
C’è da scommettere che non finirà così: la questione della carenza legittimazione ad agire dell’associazione è di per sé piuttosto discutibile, visto che lo stesso Tar Lazio l’ha riconosciuta a quella stessa associazione nell’ambito di analoghi contenziosi in cui contestava l’incostituzionalità di disposizioni che permettevano l’assunzione di posizioni dirigenziali senza concorso (addirittura anche una sentenza emessa in questi giorni, il 30.5.2019, la n. 6861). Dirpubblica molto probabilmente appellerà la sentenza di rigetto al Consiglio di Stato ed è improbabile che quest’ultimo, che ha già dato chiare indicazioni nel senso dell’illegittimità di questo passaggio automatico, possa decidere di fare retromarcia.
Il vero punto, però, è che il problema adesso rimane sul tappeto come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere con effetti potenzialmente devastanti per il fisco e per la collettività: qualunque contribuente che decida di impugnare un qualsiasi atto di riscossione, infatti, potrebbe sollevare lo stesso problema, e questa volta senza alcun possibile dubbio in termini di legittimazione ad agire.
Esiste già un precedente molto simile sotto diversi punti di vista: la Corte Costituzionale, infatti, con la notissima sentenza 37/2015 ha posto nel nulla alcune norme che avevano permesso il conferimento di mansioni dirigenziali senza concorso ad alcune centinaia di funzionari dell’Agenzia delle Entrate. Questo ha messo a rischio migliaia di atti di accertamento firmati da dirigenti nominati illegittimamente. In questo caso l’Erario si è salvato in corner perché esiste una norma specifica (l’art. 42 Dpr 600/1973) che consente la sottoscrizione degli atti di accertamento a funzionari senza la necessità che siano dirigenti, purchè opportunamente delegati. Questa ciambella di salvataggio però non può essere utilizzata perché la norma non si applica agli atti della riscossione che ricadono così nel campo di applicazione della normativa generale.
Dunque, devono essere adottati da dirigenti, in quanto atti aventi rilevanza esterna all’Amministrazione.
Come se la caverà l’Erario in questo caso? Probabilmente tenterà di sostenere che gli atti così posti in essere sono comunque validi, puntando su quello che è noto come principio del “funzionario di fatto”: secondo la giurisprudenza, infatti gli atti posti in essere da chi si manifesta come funzionario di una pubblica amministrazione, anche se in effetti non lo è, possono mantenere la loro validità. Questo principio però opera solo a favore dei terzi che entrano in rapporto con la pubblica amministrazione, in forza del principio di affidamento. E cioè, il privato che, ad esempio, ottiene da chi gli si presenta come funzionario pubblico un permesso a svolgere una certa attività e opera nella convinzione, in buona fede, di averlo ottenuto deve essere tutelato, se poi si scopre che quel funzionario riveste illegittimamente quella funzione.
Non c’è alcun dubbio, invece, che il principio del funzionario di fatto non si applica quando si discute di atti pregiudizievoli per il cittadino. In questo caso, quindi, il provvedimento non viene salvato e torna in rilievo la questione della mancanza di una legittima attribuzione del potere necessario per adottarlo in capo allo pseudo – dirigente.
Certo, la giurisprudenza ha dato più ampie dimostrazioni di riuscire a dare soccorso all’Amministrazione finanziaria con interpretazioni a dir poco creative, che guardano più al portafoglio dell’Erario che alla corretta interpretazione delle norme.
Tuttavia, se questa ricostruzione dovesse passare, tutti gli atti di riscossione (cartelle, atti di pignoramento, intimazioni di pagamento, etc.) risulterebbero illegittimi.
Questo perché tutti i dirigenti attualmente in forze presso il nuovo ente di riscossione non sono stati assunti mediante concorso, ma mediante questo passaggio diretto dalla soppressa società di diritto privato Equitalia.
Come andrà a finire? Comunque non bene.
Nella migliore delle ipotesi le incertezze rimarranno per anni, fino a che qualche organo di giustizia, amministrativa o tributaria, non rimetterà (si spera, in modo appropriato) la questione alla Corte Costituzionale e quest’ultima si pronunzierà in termini espliciti sulla questione. O il legislatore non intervenga in qualche modo.
Nel frattempo, sugli atti di riscossione si potrebbe abbattere uno tsunami di contenziosi e alla prima pronunzia che dovesse dare atto in modo sufficientemente circostanziato dell’illegittimità degli atti di riscossione posti in essere da dirigenti illegittimamente nominati si potrebbero aprire le cataratte di massivi annullamenti.
Fonte: www.panorama.it