di Mauro Finiguerra
Trasferire i propri beni ai figli, senza pagare imposte significative, è possibile grazie a diversi e numerosi strumenti che la legge mette a disposizione dei cittadini.
La legge, in generale, prevede numerosi strumenti che servono a trasferire la proprietà dell’azienda, dei beni immobili o di altri beni, dal genitore ai figli.
Fra questi strumenti sono compresi: gli atti di donazione, i contratti istitutivi dei patti di famiglia, i vincoli di destinazione, il trust.
La decisione di scegliere uno di questi strumenti è legata a numerosi fattori, fra i quali, i principali sono: l’assetto familiare, la conoscenza di tutti i soggetti che potrebbero essere chiamati all’eredità, nel caso di morte del dante causa, la natura dei beni da trasferire (se aziende, quote sociali, beni immobili, oggetti preziosi e d’arte, conti correnti e depositi titoli, ecc.), la piena disponibilità dei beni da trasferire, la liquidità necessaria per soddisfare tutti gli aventi causa, ecc.
In base a quanto avviene nella pratica quotidiana in Italia, proviamo a mettere a confronto gli strumenti, secondo la loro diffusione, più o meno ampia.
In effetti nel nostro Paese, per tradizione, lo strumento più diffuso è la donazione, mentre quello meno utilizzato dai cittadini, è il patto di famiglia.
Vediamo, attraverso l’esame dei due strumenti, sia sotto l’aspetto civilistico che sotto quello fiscale, se la differenza nella frequenza del loro utilizzo è realmente giustificata.
Sotto il profilo civilistico, con l’atto di donazione l’imprenditore dona il bene al figlio.
In questo caso, qualsiasi sia la natura del bene donato al figlio, (azienda, immobile, denaro, oggetti preziosi, ecc.), al momento della apertura della successione (alla morte del donante) il valore dei beni donati deve essere collazionato, cioè sommato, a quello degli eventuali altri beni ereditari, per ricostruire l’asse ereditario integralmente e consentire a tutti i legittimari di esercitare i rispettivi diritti, dunque anche il coniuge ed eventuali altri eredi potrebbero vantare diritti sui beni donati durante la vita del dante causa, in misura pari alla quota di legittima, a ciascuno di essi spettante.
Con il contratto del patto di famiglia invece i beni vengono sempre trasferiti al figlio, ma alla stipula del contratto devono partecipare anche il coniuge e gli altri eventuali chiamati all’eredità, ai quali il disponente, cioè colui che intende trasferire i beni, può offrire una compensazione, in denaro o sotto forma di altri beni ereditari, di pari valore a quello dei beni dati al figlio.
Con il contratto del patto di famiglia inoltre, il coniuge, potrebbe anche intervenire a dichiarare la rinuncia ad esercitare i propri diritti sui beni trasferiti al figlio, in questo caso si tratterebbe di stipulare un patto di famiglia, cosiddetto, rinunciativo.
La differenza principale del patto di famiglia, rispetto alla donazione, è che il valore del bene trasferito non dovrà più essere collazionato (sommato) al valore degli altri beni ereditari al momento dell’apertura della successione (alla morte del dante causa), evitando le conseguenze di una eventuale azione di riduzione da parte degli altri eredi legittimari, che invece, ricorrendo alla donazione, potrebbe sempre essere iniziata.
In sostanza l’effetto del patto di famiglia è quello di realizzare una vera e propria successione in vita, seppur parziale, in quanto il bene od i beni oggetto del contratto non rientreranno più nell’asse ereditario e gli eventuali altri eredi non potranno più esercitare, su di esso, alcuna azione di riduzione.
Sotto il profilo fiscale, bisogna distinguere a seconda della natura dei beni che vengono trasferiti (beni immobili, quote di società, conti correnti o depositi, oggetti preziosi, aziende, ecc.).
I beni immobili non inclusi nelle aziende e gli altri beni, escluse le aziende, seguono le aliquote e le eventuali esenzioni previste dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni e dall’imposta di registro per i trasferimenti fra privati.
Il trasferimento di azienda, dal padre al figlio, invece segue le norme sotto esposte.
Ai fini delle imposte dirette, non produce plusvalenze tassabili, se:
– il trasferimento avviene per causa di morte o per atto gratuito (sia per atto di donazione che per contratto dei patti di famiglia);
– l’azienda è assunta dall’erede o dal donatario agli stessi valori fiscalmente riconosciuti in capo al dante causa.
Ai fini dell’imposta di successione e donazione, è esente, se:
– nell’atto di donazione o nel contratto dei patti di famiglia i beneficiari rendano esplicita dichiarazione della loro volontà di proseguire l’attività di impresa;
– effettivamente, per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, proseguano l’esercizio dell’impresa.
Ai fini dell’imposta di registro, si ritiene che sia applicabile l’imposta in misura fissa (euro 200,00); nel caso di rinuncia da parte del coniuge potrebbe essere applicata una ulteriore imposta di registro, sempre in misura fissa.
Ai fini delle imposte ipotecarie e catastali, è esente, anche se sia compreso un immobile fra i beni che compongono l’azienda donata o trasferita in base ai patti di famiglia.
Pertanto un suggerimento pratico, per coloro che intendessero effettuare il passaggio di beni e/o aziende ai figli, è quello di verificare la sussistenza dei presupposti per stipulare il patto di famiglia, onde evitare che la donazione possa, in futuro, lasciare spazio ad azioni di riduzione da parte di eredi legittimari.
In ogni caso non si correranno rischi con l’Agenzia delle Entrate, in materia di tassazione, se nel redigere gli atti o i contratti prescelti, si seguiranno le indicazioni sopra specificate, nella parte in cui sono stati trattati i profili fiscali.
Fonte: business.laleggepertutti.it