La recente introduzione del nuovo istituto della negoziazione assistita per separazione e divorzio, che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto avere lo scopo di deflazionare il carico pendente delle aule giudiziarie dalle procedure di separazione personale dei coniugi e di divorzio sembrerebbe non dare, alla prova dei fatti buoni risultati.
In primo luogo perché la nuova procedura non sembra essere particolarmente più economica e snella del classico ricorso in sede giurisdizionale, in subordine perché la verifica obbligatoria da parte del Pubblico Ministero dell’accordo stipulato tra le parti dinanzi a ben due avvocati si sta realizzando in un ulteriore complicazione laddove quest’ultimo non ritenga l’accordo rispondente all’interesse dei figli dei coniugi separandi. Vediamo a tale proposito quanto stabilito da una recente sentenza del tribunale di Torino, destinata a divenire un precedente di sicuro rilievo. La pronuncia chiarisce alcuni dubbi interpretativi sorti per effetto della recente riforma di cui all’art. 6 comma 2 della L. 162/14. Com’è noto, la L. 162/2014 prevede che l’accordo raggiunto dai coniugi davanti agli avvocati “debba essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza”, mentre, nell’ipotesi in cui ritenga che l’accordo “non risponde all’interesse dei figli”, lo “trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo”.
Proprio con riferimento all’ipotesi in cui il P.M. non ritenga l’accordo conforme all’interesse dei figli, sono sorti non pochi dubbi interpretativi su quale tipo di provvedimento debba adottare il Presidente del tribunale, tenuto conto peraltro che per i giudizi di divorzio o modifica delle condizioni è competente a decidere il Tribunale in composizione collegiale.
Diversamente, secondo il tribunale di Torino, la procedura di negoziazione deve ritenersi alternativa al procedimento giurisdizionale, e pertanto, una volta che il P.M. non ha autorizzato l’accordo, il Presidente “provvede” nei termini seguenti:
nello stesso provvedimento di convocazione delle parti avanti a sé, le invita ad adeguarsi ai rilievi del P.M., e contestualmente consente loro – qualora ritengano di non aderire pienamente ai rilievi del PM illustrati nel rigetto della autorizzazione o, in conseguenza di essi, intendano apportare significative modifiche alle clausole dell’accordo – di depositare in tempo utile ricorso per separazione consensuale ovvero ricorso congiunto di divorzio o ancora per la modifica delle condizioni di separazione o divorzio.
Si possono quindi verificare diverse ipotesi:
A) Le parti non depositano alcun ricorso, compaiono all’udienza e dichiarano di voler aderire in toto ai rilievi formulati dal P.M.: in tal caso il giudice, avendo già il parere del P.M., non fa altro che autorizzare l’accordo stesso.
B) Le parti non depositano alcun ricorso e non compaiono all’udienza, o, pur comparendo, non sono disponibili a recepire le osservazioni del P.M.: in questo caso al Presidente non rimane altro che non autorizzare l’accordo, in quanto nessuna conversione, come già evidenziato, è ammissibile.
C) Le parti depositano un ricorso ex art. 711 cpc, ovvero ex art. 4 comma 16 L. div. o ancora ex art. 710 cpc,: in questo caso l’ “accordo” raggiunto a seguito di negoziazione assistita si intende implicitamente rinunciato (vale a dire che nessuno comparirà all’ udienza, ovvero, alla stessa, le parti dichiareranno di rinunziarvi espressamente) e il relativo fascicolo sarà archiviato a seguito di una pronuncia di “non luogo a provvedere”; si apre quindi un nuovo procedimento “giurisdizionale”, con le relative domande e regolarmente iscritto al ruolo, viene fissata un’ udienza davanti al Collegio se si tratti di divorzio o procedimento ex art. 710 ovvero, in caso di separazione, davanti al Presidente, e ciascun procedimento seguirà il rito suo proprio.
Avv. Federico Vaccaro