Solo l’indipendenza economica segna la fine dell’obbligo di mantenimento da parte del genitore separato nei confronti del figlio maggiorenne; prima di tale momento, invece, a quest’ultimo il genitore non convivente deve versare l’assegno di mantenimento secondo quanto indicato dal giudice.
Senonché, il problema – specie di questi tempi – è definire quando si possa davvero parlare di “indipendenza economica”, un concetto purtroppo divenuto labile e relativo. Con l’aumento del precariato e il definitivo tramonto del “posto fisso”, i giovani fortunati che possono dire di aver raggiunto l’agognata indipendenza sono davvero pochi. A riguardo è interessante la sentenza del Tribunale di Treviso emessa proprio qualche mese fa [1]. In essa il giudice innanzitutto ricorda che l’obbligo di versare un contributo economico in favore dei figli non cessa fino a quando questi, una volta maggiorenni, non diventino pienamente autosufficienti da un punto di vista economico: ciò posto, lo svolgimento di un lavoro non costante e con reddito non certo da parte del figlio non consente la totale eliminazione del contributo, ma può portare ad una sua riduzione.
La vicenda
Un padre separato aveva chiesto, nel corso del giudizio di divorzio, la cancellazione dell’obbligo di mantenimento nei confronti del figlio, il quale, divenuto maggiorenne, aveva iniziato a lavorare nel settore alberghiero.
La sentenza
Il Tribunale, analizzata la situazione lavorativa del figlio, ha ritenuto più opportuna una riduzione dell’assegno e non invece la totale eliminazione dello stesso, giudicando non raggiunta la piena autosufficienza economica da parte del ragazzo. Quest’ultimo, infatti, dopo aver concluso il triennio presso un istituto professionale alberghiero aveva svolto solo lavori stagionali e, al momento della causa, svolgeva un tirocinio retribuito con 600 euro mensili.
Secondo il Tribunale di Treviso, una formazione di studi e una serie di esperienze lavorative mettono sì il ragazzo in condizioni di lavorare (sicché può dirsi che lo stesso abbia acquisito una capacità lavorativa), ma questo non significa ancora il raggiungimento dell’indipendenza economica. Perciò è ancora necessario l’aiuto economico dei genitori e, segnatamente, del padre. In altri termini, affermano i giudici, “il fatto che egli possa godere di un lavoro non costante né certo e per un reddito che ancora non gli consente, in modo stabile, di rendersi autonomo, non legittima la totale eliminazione del contributo al suo mantenimento, ma giustifica la riduzione dello stesso”.
LA SENTENZA
Tribunale di Treviso – Sezione I civile – Sentenza 17 giugno 2015 n. 1445
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI TREVISO
SEZIONE PRIMA CIVILE
Riunito in Camera di consiglio nelle persone dei magistrati:
Dott.ssa Daniela Ronzani Presidente
Dott.ssa Clarice Di Tullio Giudice
Dott. Paolo Nasini Giudice rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
PA.GA., nato il (…), elettivamente domiciliato in Oderzo, Piazza (…), presso lo studio dell’avv. Lu.Ga. rappresentato e difeso dalla stessa come da mandato a margine del ricorso introduttivo
RICORRENTE
contro
PA.SI., nata (…), elettivamente domiciliata in Treviso, viale (…), presso l’avv. Ba.Lo. rappresentata e difesa dallo stesso in forza di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta
CONVENUTA
con l’intervento del Procuratore della repubblica MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 28.1.2.2012 Pa.Ga. esperiva il presente giudizio per sentire dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con Pa.Si. alle condizioni di cui al ricorso.
Si costituiva in giudizio Pa.Si. non contestando la domanda di divorzio, ma svolgendo le difese di cui in atti.
Esaminati gli atti di causa si rileva quanto segue.
In via preliminare.
Pa.Si. nella comparsa di costituzione avanti al G.I. ha eccepito l’inammissibilità della memoria ex art. 709 II co. c.p.c. depositata da parte ricorrente in quanto priva di procura ad litem: al riguardo, l’eccezione è priva di fondamento in quanto la procura ad litem risulta correttamente a margine del ricorso introduttivo.
In ordine alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Le parti si sono unite in matrimonio concordatario in data 27.8.1989 e si sono separate consensualmente avanti al Tribunale di Treviso in data 12.12.2007. Con sentenza non definitiva n. 1984/13 depositata il 6.11.13 il Tribunale di Treviso ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato dalle parti.
In ordine ai figli e al mantenimento degli stessi.
Dall’unione sono nati Ni., nato il (…) maggiorenne già al momento del deposito del ricorso introduttivo, e Da., nato il (…).
Quest’ultimo, ancora minorenne al momento dell’introduzione del presente giudizio, è, nelle more del procedimento, divenuto maggiorenne.
Pertanto, non deve essere adottato alcun provvedimento in ordine all’affidamento dei figli. E’ pacifico che Ni. sia economicamente autosufficiente.
Oggetto del presente provvedimento, quindi, è la sussistenza o meno di un obbligo in capo a parte ricorrente in ordine al mantenimento del figlio Da., il quale vive con la madre.
In sede di separazione consensuale era stato concordato dalle parti l’obbligo a carico del Pa. di contribuzione al mantenimento dei figli con il pagamento dell’assegno di Euro 700,00 mensili (350,00 per ciascuno di essi) oltre al 50% delle spese straordinarie (a partire dal 2009).
Nel ricorso introduttivo e nella memoria integrativa parte ricorrente si è dichiarato disponibile a corrispondere in favore del figlio Euro 380,00 mensili a titolo di concorso nel mantenimento di Da., oltre al 50% delle spese straordinarie. In sede di precisazione delle conclusioni il Pa. ha chiesto la cessazione dell’obbligo, posto a suo carico, di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore del figlio e di contribuire al pagamento del 50% delle spese straordinarie posto che Da. è divenuto maggiorenne ed economicamente autosufficiente.
In via subordinata, ha comunque chiesto la riduzione dell’assegno di mantenimento in questione, con l’autorizzazione a corrisponderlo direttamente al figlio ex art. 155 quinquies c.c.
In sede presidenziale il Presidente ff ha modificato le condizioni di separazione riducendo l’obbligo, a carico del ricorrente, di corresponsione dell’assegno di mantenimento relativo a
Da. ad Euro 380,00, da versarsi sempre in favore della madre, oltre al 50% delle spese straordinarie.
La convenuta si è opposta alle domande di parte ricorrente sopra menzionate. E’ pacifico (perché dedotto da parte ricorrente e non contestato specificamente dalla convenuta) che Da. ha concluso il triennio presso l’istituto professionale alberghiero in (…).
E’ altresì pacifico che Da. già nel periodo estivo da maggio a settembre 2013 ha svolto lavoro stagionale come aiuto cuoco presso un albergo/ristorante di Jesolo (Ve) con uno stipendio medio di circa 1.150,00 Euro mensili. Tale circostanza, del resto, risulta dal doc. 15 di parte ricorrente.
In sede di udienza di precisazione delle conclusioni parte ricorrente ha prodotto le buste paga relative al lavoro a tempo determinato svolto da Da. da febbraio 2014 a giugno 2014 in Inghilterra per un compenso medio mensile di circa 350,00 sterline, pari a circa 430,00 Euro mensili (calcolando il cambio valuta a quella data).
Il figlio delle parti risulta altresì aver stipulato un contratto di tirocinio in data 11.11.14 sino al 10.5.2015 sempre come aiuto cuoco di ristorante presso la società Mg. (doc. 17 fasc. ricorrente) per uno stipendio di Euro 600,00 mensili.
Dalla documentazione in atti! e dalle stesse deduzioni delle parti, quindi, emerge che Da. ha si acquisito una capacità lavorativa, ma non può dirsi che lo stesso abbia raggiunto l’autosufficienza economica.
Il fatto che egli possa godere di un lavoro non costante né certo e per un reddito che ancora non gli consente, in modo stabile, di rendersi autonomo, non legittima la totale eliminazione del contributo al suo mantenimento, ma giustifica la riduzione dello stesso ad Euro 200,00 mensili oltre al 50% delle spese straordinarie, mediche, sportive, ricreative.
La modifica in questione avrà effetto dalla data della presente sentenza fermi gli effetti medio tempore prodotti dai provvedimenti precedentemente emessi. Poiché, come detto, Da. vive ancora con la madre, la quale, quindi, contribuisce al sostentamento del predetto in modo diretto, risulta congruo disporre che gli importi dovuti dal ricorrente a titolo di mantenimento ordinario e straordinario vengano corrisposti non direttamente al figlio, ma alla convenuta.
In ordine alla domanda di assegno divorzile.
La Pa. sin dal deposito della memoria difensiva e ancora in sede di udienza di precisazione delle conclusioni ha chiesto la condanna di parte ricorrente alla corresponsione di Euro 300,00 mensili a titolo di assegno divorzile.
Il convenuto nel ricorso introduttivo, nel corso di tutto il giudizio e in sede di precisazione delle conclusioni ha chiesto il rigetto della domanda ex adverso formulata in quanto insussistente il diritto della Pa. di ottenere l’assegno divorzile.
In sede di separazione, nessun assegno di mantenimento è stato previsto dalle parti in favore della convenuta.
Non è stata depositata dalle parti documentazione idonea a dimostrare la condizione economica dei coniugi al momento della separazione.
In sede di udienza presidenziale nel procedimento di separazione, però, la Pa. ha dato atto di abitare in locazione al canone di Euro 380,00 mensili oltre alle spese condominiali e di lavorare come barista part – time con uno stipendio di Euro 650,00 mensili e di essersi mantenuta fino a quel momento grazie all’aiuto dei suoi fratelli. Dalle dichiarazioni dei redditi prodotte dalla convenuta relative ai periodi di imposta 2009 – 2010 – 2011 risulta un reddito medio netto da lavoro dipendente pari ad Euro 10.500,00 annui circa: al riguardo, però occorre rilevare che per gli anni 2010 e 2011 è pacifico che il reddito in questione è correlato al pagamento dell’indennità di disoccupazione.
Risulta, poi, (doc. 7 fasc. convenuta) che la stessa è stata assunta dal 6.9.2012 con contratto a tempo determinato prorogato sino al 5.9.2013 percependo uno stipendio netto mensile leggermente superiore a Euro 1.000,00.
Dal Cud 2014 poi risulta che la Pa. per il periodo di imposta 2013 ha percepito un reddito da lavoro netto annuo pari ad Euro 13.000,00 circa.
La convenuta risulta ancora essere stata in locazione presso l’immobile goduto al momento della separazione, corrispondendo un canone di Euro 220,00 mensili dal 2007 sino al maggio 2014 da quando abita in un alloggio popolare.
Dall’estratto I.N.P.S. prodotto dalla Pa. (doc. 12) emerge che la stessa ha cominciato a lavorare sin dal 1979 e che a partire dal 1992 ha lavorato part – time alternando periodi di disoccupazione a periodi di impiego.
Il ricorrente, invece, è socio della società Il. S.r.l. che svolge attività di commercio di abbigliamento e oggetti di lavoro con una quota del 33,33%.
Dalle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi di imposta 2009 – 2010 – 2011 risulta che il reddito del ricorrente è andato aumentando (da circa 15.000,00 Euro netti annui ad Euro 22.000,00 annui circa) per poi ridursi nuovamente ad Euro 15.000,00 netti annui circa nel 2012 e ad Euro 11.000,00 annui netti nel 2013 (doc. 19 fasc. di parte ricorrente). E’ proprietario della casa ove vive in Salgareda categoria A/3.
Risulta altresì proprietario di un’autovettura di 1997 di cilindrata, ma immatricolata nel 2002, il cui valore quindi, allo stato è irrisorio.
In sede di memoria difensiva lavanti al Presidente nel presente giudizio, parte convenuta ha dichiarato di non aver richiesto alcunché in sede di separazione a titolo di suo mantenimento in quanto era economicamente autosufficiente mentre negli anni successivi la stessa ha potuto svolgere solo lavori saltuari e il suo reddito ha avuto una deflessione.
Si rammenta che secondo l’insegnamento della Suprema Corte, “In tema di divorzio, a norma dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato alla stregua della verifica dell’adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita precedente nonché della impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive. La nozione di adeguatezza postula un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria; dell’onerato, anche se. successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio e trovino radice in detta attività e/o nel tipo di qualificazione professionale e /o nella collocazione sociale dell’onerato stesso” (Cass. n. 24496 del 17/11/2006).
Nel caso di specie, non può dirsi che la convenuta abbia dimostrato la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di corresponsione di un assegno divorzile.
Infatti, da un lato, la Pa. ha dimostrato nel corso degli anni di avere una idonea capacità lavorativa, tanto da consentirle durante il matrimonio e anche dopo la separazione comunque sempre di reperire dei lavori ancorché part time, seppure eventualmente alternati a periodi di disoccupazione, sicché non può dirsi provata la circostanza dell’impossibilità per ragioni obiettive per la stessa di procurarsi redditi adeguati; dall’altro lato, anche in ordine all’adeguatezza del reddito non avendo la convenuta offerto elementi o mezzi di prova idonei a dimostrare il tenore di vita e le condizioni economico patrimoniali delle parti in costanza di matrimonio non è possibile nemmeno operare una comparazione ai fini che qui interessano. Ne consegue, quindi, il rigetto della domanda formulata da parte convenuta. Per quanto concerne i mezzi di prova richiesti dalla Pa. in corso di causa, si sottolinea che i tre capitoli dedotti al riguardo (capp. 2, 3, 4 della memoria ex art. 183 sesto comma n. 2 c.p.c.) non sono stati ammessi e non possono essere ammessi in quanto i primi due sono irrilevanti ai fini della decisione (in quanto, da un lato, può ben presumersi un contributo della convenuta al “menage” familiare, dall’altro lato, con riferimento al mutuo acceso per la ristrutturazione della casa di proprietà del ricorrente, la circostanza non può essere valorizzata in questa sede, ma dovrà eventualmente essere oggetto di altro contenzioso) é il terzo è in parte valutativo e in parte formulato in modo generico (non specificando per quali importi e con quale frequenza la Pa. riceverebbe gli aiuti dai familiari).
In ordine alle ulteriori domande formulate dalle parti.
In ricorso il Pa. ha chiesto che fosse accertato e dichiarato che lo stesso ha corrisposto la somma di Euro 5.347,00 a titolo di spese straordinarie e quindi che la convenuta fosse condannata a rifondere al marito la somma di Euro 2.673,50.
Detta domanda, però non risulta riproposta nei successivi atti di causa ed anzi è stata rinunciata da parte ricorrente in sede di udienza del 18.7.2013 sicché deve pronunciarsi il non luogo a provvedere sulla domanda.
In punto spese di lite.
Alla luce di quanto sopra dettò, attesa la prevalente, ancorché non totale, soccombenza di parte convenuta, quest’ultima deve essere condannata a rifondere, in misura di 2/3, a parte ricorrente le spese del presente giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, eccezione e deduzione reietta e disattesa, vista la sentenza non definitiva n. 1984/13 depositata il 6.11.2013:
1) a modifica dei provvedimenti precedentemente emessi, aventi efficacia sino alla data della presente sentenza, pone a carico di Pa.Ga., con decorrenza da tale ultima data, l’obbligo di’ corrispondere a Pa.Si., a titolo di contributo nel mantenimento del figlio Da., la somma di Euro 200,00 mensili, da rivalutare annualmente secondo gli indici Istat oltre al 50% delle spese straordinarie, tra le quali quelle mediche non mutuabili, scolastiche, sportive e ricreative;
2) rigetta la domanda di assegno divorzile formulata da parte convenuta;
3) dichiara il non luogo a provvedere in ordine alla domanda restitutoria formulata da parte ricorrente;
4) condanna parte convenuta a rifondere a parte ricorrente in misura di 2/3 le spese del presente giudizio che liquida, per l’intero, in Euro 5.000,00 per compensi oltre rimborso forfetario 15%, Iva e cpa come per legge;
Manda all’Ufficiale di Stato, civile per le trascrizioni, iscrizioni ed annotazioni di competenza e per le ulteriori incombenze di legge.
Così deciso in Treviso l’11 giugno 2015. Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2015.
———-
[1] Trib. Treviso sent. n. 1445/15 del 17.06.2015.
———-