Reato esibire nel giudizio di separazione la corrispondenza bancaria del coniuge
Lo ha stabilito una recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 585 del 9 gennaio 2014) nel caso di una moglie separata che ha aperto la corrispondenza destinata al marito per utilizzarla nella causa di separazione pendente innanzi al competente Tribunale.
La Corte ha individuato in tale agire il reato di cui all’art. 616 del codice penale, “Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza”.
Mutato dunque l’orientamento della Suprema Corte che in precedenza aveva ritenuto la sussistenza in analoghe fattispecie dell’esimente della “giusta causa”, prevista dal 2° comma dell’art. 616 c.p.
Va chiarito che la norma non fornisce la definizione di giusta causa, cosicché questa va individuata nel concetto generico di giustizia, la cui sussistenza il giudice deve valutare avendo riguardo, sotto il profilo etico – sociale, ai motivi determinanti la condotta. La Corte ha chiarito con recenti pronunce che l’esimente persiste solo se la produzione in giudizio della documentazione bancaria è l’unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge (Cass. n. 35383/2011).
Con la sentenza del 9 gennaio scorso la Corte ha dunque confermato l’orientamento per cui “integra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza la condotta di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla nel giudizio civile di separazione; né, in tal caso, sussiste la giusta causa di cui all’art. 616, 2° comma, c.p., la quale presuppone che la produzione in giudizio della documentazione bancaria sia l’unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge -controparte, considerato che, ex art. 210 c.p.c., il giudice può, ad istanza di parte, ordinare all’altra parte o ad un terzo l’esibizione di documenti di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo”.
Avv. Federico Vaccaro