di Michele Angelo Lupoi
Estratto dal volume “Le nuove discipline della separazione e del divorzio”, Maggioli Editore, 2015
La legge n. 55 del 6 maggio 2015, come noto, ha introdotto il c.d. divorzio “breve”.
Si tratta di una riforma lungamente attesa ma dalla portata innovativa tutto sommato ridotta.
Resta infatti immutato il principale presupposto per la pronuncia di divor- zio, ovvero la previa separazione tra le parti. La vera rivoluzione sarebbe stato rendere solo facoltativo (se non abrogare tout court) il requisito in esame, ma anche stavolta il legislatore non ha saputo o voluto compiere tale coraggiosa scelta.
De minimis, dunque, l’art. 1 della legge n. 55 si limita a ridurre la “distanza” temporale che deve separare l’istanza di divorzio dalla separazione, passando da tre anni ad uno (in caso di separazione giudiziale) o a sei mesi (in caso di separazione consensuale).
Tale nuovo termine, ai sensi dell’art. 3, si applica “ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore” della legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla me- desima data. In sostanza, tale disposizione presuppone il deposito di un ricorso prima del decorso del triennio in precedenza previsto dalla legge, con una sorta di sanatoria retroattiva, per evitare una pronuncia di inammissibilità dell’istanza.
Ai fini della pronuncia del divorzio nei nuovi termini abbreviati resta comun- que necessaria, ai sensi dell’art. 3, n. 2, lett. b) della legge n. 898 del 1970, la previa pronuncia con sentenza passata in giudicato della separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero l’omologazione della separazione consensuale o, ancora, la separazione di fatto se iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970 ovvero, infine, anche se la norma per difetto di coordinazione non lo prevede espressamente, il previo accordo di separazione intervenuto tra i coniugi a seguito di negoziazione assistita matrimoniale (art. 6 d. l. n. 132 del 2014) ovvero da loro formalizzato avanti all’ufficiale di stato civile (art. 12 d. l. n. 132 del 2014).
Sul piano procedurale, la nuova legge, non dice sostanzialmente nulla, se non confermare che il termine per la richiesta di divorzio decorre, rispetto ai procedimenti che si svolgono davanti al Tribunale, dalla data di comparizione delle parti avanti al Presidente del Tribunale (ai sensi dell’art. 708 c. p. c. in caso di separazione giudiziale e dell’art. 711 c. p. c. in caso di consensuale). Opportunamente, inoltre, si è equiparata alla separazione nata come consen- suale quella che, introdotta come giudiziale, sia poi “convertita” in consensuale all’udienza presidenziale. A tale ipotesi, sembra doversi aggiungere per analogia, quella della separazione proposta con le forme giudiziali e decisa con sentenza, ma sulla base di conclusioni congiunte delle parti: anche in questo caso, infatti, alla pronuncia della separazione si arriva sulla base di un accordo tra i coniugi recepito dal Tribunale.
Resta, d’altro canto, difficilmente giustificabile, anche sul piano del principio costituzionale di eguaglianza, il diverso trattamento riservato alla separazione giudiziale rispetto a quella consensuale. La ratio legis sembra quella di “premia- re” i coniugi poco litigiosi, favoriti sul piano temporale, a scapito di quelli più conflittuali, rispetto ai quali lo spatium deliberandi viene raddoppiato. Lo scarto temporale, peraltro, è sufficientemente lungo da rappresentare un’ingiustizia ma, per converso, troppo breve per essere razionalmente giustificabile.
Non è dunque peregrina l’ipotesi di una pronuncia di incostituzionalità della nuova norma.
Nell’ipotesi di separazione giudiziale, peraltro, l’abbreviazione dei tempi per la richiesta del divorzio renderà routinaria una situazione procedurale che invero già in precedenza si verificava con una certa frequenza: a seguito della pronuncia della sentenza non definitiva di separazione, ai sensi dell’art. 709-bis c. p. c., infatti, i coniugi possono proporre ricorso di divorzio mentre ancora pende il procedimento di separazione per la decisione in merito alle altre que- stioni sottoposte all’attenzione del Tribunale (addebito, rapporti patrimoniali, responsabilità genitoriale).
In questi casi, i due procedimenti possono procedere in parallelo, salva la cessazione della materia del contendere, nel giudizio di separazione, rispetto a tutte le questioni oggetto di pronuncia anche in sede di divorzio (ad esempio, assegnazione della casa coniugale, responsabilità genitoriale, mantenimento dei figli). Il procedimento di separazione, invece, potrà procedere per la definizione delle questioni non rientranti nel thema decidendum del divorzio, come, ad esem- pio, la domanda di addebito, il diritto al mantenimento del coniuge più debole (attesa la diversità di presupposti rispetto all’assegno divorzile e comunque in considerazione del fatto che, di norma, tale assegno, per legge, decorre dalla data di pronuncia del divorzio), la definizione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, anche con riferimento alla prole, nell’arco di tempo che ha preceduto il deposito del ricorso di divorzio e così via.
Situazioni di questo tipo, si ripete, erano già abbastanza frequenti prima dell’ultima riforma. Oggi, però, esse tenderanno a diventare la norma, consi- derati i lunghi tempi di definizione del procedimento di separazione dopo la pronuncia della sentenza non definitiva sulla separazione stessa. Sarà sempre più frequente, dunque, la contemporanea pendenza di separazione e divorzio, non necessariamente avanti al medesimo Tribunale.
Sino ad ora, la giurisprudenza aveva negato che tra i due procedimenti sussistessero ragioni di connessione idonee a giustificarne la riunione e, ad una prima analisi, tale orientamento sembra da confermare anche nel nuovo regime.
Il Presidente della IX sezione del Tribunale di Milano (cui sono deputati i procedimenti di separazione e di divorzio), con circolare del 25 maggio 2015, ha indicato i criteri seguiti a questo riguardo dalla sezione. In particolare, si è espressa la scelta di modificare i criteri di riparto interno degli affari preveden- do che, in caso di presentazione dell’istanza di divorzio mentre ancora pende il procedimento di separazione (in primo grado e avanti la medesima IX sezione), il relativo fascicolo sia assegnato al medesimo giudice. Si prospetta, al riguardo, un nuovo criterio di assegnazione dei procedimenti divorzili per “connessione” ex lege n. 55 del 2015.
Si tratta di una presa di posizione condivisibile.
Essa, da un lato, conferma la (parziale) autonomia tra i due giudizi, dall’altro valorizza la continuità nella gestione dei rapporti (in particolare quelli relativi ai figli) a seguito del venire meno della materia del contendere in sede di sepa- razione. In tal modo, si dovrebbe garantire una “amministrazione” dei rapporti più efficiente e senza soluzione di continuità.
Si tratta di una riforma lungamente attesa ma dalla portata innovativa tutto sommato ridotta.
Resta infatti immutato il principale presupposto per la pronuncia di divor- zio, ovvero la previa separazione tra le parti. La vera rivoluzione sarebbe stato rendere solo facoltativo (se non abrogare tout court) il requisito in esame, ma anche stavolta il legislatore non ha saputo o voluto compiere tale coraggiosa scelta.
De minimis, dunque, l’art. 1 della legge n. 55 si limita a ridurre la “distanza” temporale che deve separare l’istanza di divorzio dalla separazione, passando da tre anni ad uno (in caso di separazione giudiziale) o a sei mesi (in caso di separazione consensuale).
Tale nuovo termine, ai sensi dell’art. 3, si applica “ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore” della legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla me- desima data. In sostanza, tale disposizione presuppone il deposito di un ricorso prima del decorso del triennio in precedenza previsto dalla legge, con una sorta di sanatoria retroattiva, per evitare una pronuncia di inammissibilità dell’istanza.
Ai fini della pronuncia del divorzio nei nuovi termini abbreviati resta comun- que necessaria, ai sensi dell’art. 3, n. 2, lett. b) della legge n. 898 del 1970, la previa pronuncia con sentenza passata in giudicato della separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero l’omologazione della separazione consensuale o, ancora, la separazione di fatto se iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970 ovvero, infine, anche se la norma per difetto di coordinazione non lo prevede espressamente, il previo accordo di separazione intervenuto tra i coniugi a seguito di negoziazione assistita matrimoniale (art. 6 d. l. n. 132 del 2014) ovvero da loro formalizzato avanti all’ufficiale di stato civile (art. 12 d. l. n. 132 del 2014).
Sul piano procedurale, la nuova legge, non dice sostanzialmente nulla, se non confermare che il termine per la richiesta di divorzio decorre, rispetto ai procedimenti che si svolgono davanti al Tribunale, dalla data di comparizione delle parti avanti al Presidente del Tribunale (ai sensi dell’art. 708 c. p. c. in caso di separazione giudiziale e dell’art. 711 c. p. c. in caso di consensuale). Opportunamente, inoltre, si è equiparata alla separazione nata come consen- suale quella che, introdotta come giudiziale, sia poi “convertita” in consensuale all’udienza presidenziale. A tale ipotesi, sembra doversi aggiungere per analogia, quella della separazione proposta con le forme giudiziali e decisa con sentenza, ma sulla base di conclusioni congiunte delle parti: anche in questo caso, infatti, alla pronuncia della separazione si arriva sulla base di un accordo tra i coniugi recepito dal Tribunale.
Resta, d’altro canto, difficilmente giustificabile, anche sul piano del principio costituzionale di eguaglianza, il diverso trattamento riservato alla separazione giudiziale rispetto a quella consensuale. La ratio legis sembra quella di “premia- re” i coniugi poco litigiosi, favoriti sul piano temporale, a scapito di quelli più conflittuali, rispetto ai quali lo spatium deliberandi viene raddoppiato. Lo scarto temporale, peraltro, è sufficientemente lungo da rappresentare un’ingiustizia ma, per converso, troppo breve per essere razionalmente giustificabile.
Non è dunque peregrina l’ipotesi di una pronuncia di incostituzionalità della nuova norma.
Nell’ipotesi di separazione giudiziale, peraltro, l’abbreviazione dei tempi per la richiesta del divorzio renderà routinaria una situazione procedurale che invero già in precedenza si verificava con una certa frequenza: a seguito della pronuncia della sentenza non definitiva di separazione, ai sensi dell’art. 709-bis c. p. c., infatti, i coniugi possono proporre ricorso di divorzio mentre ancora pende il procedimento di separazione per la decisione in merito alle altre que- stioni sottoposte all’attenzione del Tribunale (addebito, rapporti patrimoniali, responsabilità genitoriale).
In questi casi, i due procedimenti possono procedere in parallelo, salva la cessazione della materia del contendere, nel giudizio di separazione, rispetto a tutte le questioni oggetto di pronuncia anche in sede di divorzio (ad esempio, assegnazione della casa coniugale, responsabilità genitoriale, mantenimento dei figli). Il procedimento di separazione, invece, potrà procedere per la definizione delle questioni non rientranti nel thema decidendum del divorzio, come, ad esem- pio, la domanda di addebito, il diritto al mantenimento del coniuge più debole (attesa la diversità di presupposti rispetto all’assegno divorzile e comunque in considerazione del fatto che, di norma, tale assegno, per legge, decorre dalla data di pronuncia del divorzio), la definizione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, anche con riferimento alla prole, nell’arco di tempo che ha preceduto il deposito del ricorso di divorzio e così via.
Situazioni di questo tipo, si ripete, erano già abbastanza frequenti prima dell’ultima riforma. Oggi, però, esse tenderanno a diventare la norma, consi- derati i lunghi tempi di definizione del procedimento di separazione dopo la pronuncia della sentenza non definitiva sulla separazione stessa. Sarà sempre più frequente, dunque, la contemporanea pendenza di separazione e divorzio, non necessariamente avanti al medesimo Tribunale.
Sino ad ora, la giurisprudenza aveva negato che tra i due procedimenti sussistessero ragioni di connessione idonee a giustificarne la riunione e, ad una prima analisi, tale orientamento sembra da confermare anche nel nuovo regime.
Il Presidente della IX sezione del Tribunale di Milano (cui sono deputati i procedimenti di separazione e di divorzio), con circolare del 25 maggio 2015, ha indicato i criteri seguiti a questo riguardo dalla sezione. In particolare, si è espressa la scelta di modificare i criteri di riparto interno degli affari preveden- do che, in caso di presentazione dell’istanza di divorzio mentre ancora pende il procedimento di separazione (in primo grado e avanti la medesima IX sezione), il relativo fascicolo sia assegnato al medesimo giudice. Si prospetta, al riguardo, un nuovo criterio di assegnazione dei procedimenti divorzili per “connessione” ex lege n. 55 del 2015.
Si tratta di una presa di posizione condivisibile.
Essa, da un lato, conferma la (parziale) autonomia tra i due giudizi, dall’altro valorizza la continuità nella gestione dei rapporti (in particolare quelli relativi ai figli) a seguito del venire meno della materia del contendere in sede di sepa- razione. In tal modo, si dovrebbe garantire una “amministrazione” dei rapporti più efficiente e senza soluzione di continuità.
Fonte: dirittodifamiglia.diritto.it