di Alessandra Rizzelli – Maurizio Villani
Con un’importantissima Sentenza, n. 228 depositata il 06/10/2014, la Corte Costituzionale ha finalmente dichiarato incostituzionale l’applicazione dell’articolo 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’articolo 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge 30 dicembre 2004, n. 311, in relazione ai titolari di reddito di lavoro autonomo.
A tale decisone la Corte è giunta a seguito dell’ordinanza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale Lazio n. 27/29/2013, con la quale i giudici tributari rimettevano la questione in merito, appunto, alla legittimità di applicazione di tale normativa anche ai liberi professionisti, e non solo ai titolari di reddito di impresa, dubitando della ragionevolezza della norma.
Come noto, infatti, l’articolo 32 cit. al comma 1, numero 2), come modificato dall’articolo 1 della Legge n. 311/2004, espressamente prevede “I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma, o acquisiti ai sensi dell’articolo 18 comma 3, lettera b), del Decreto Legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempre che non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni.”
Nello specifico, la Corte Costituzionale, dopo aver ricordato che l’articolo 1 della Legge n. 311/2004 ha esteso la presunzione che riguardava unicamente gli imprenditori (limitata ai “ricavi”) anche all’ambito operativo dei lavoratori autonomi (inserendo anche i “compensi”), ha delineato due gruppi di censure meritevoli di pronuncia:
- uno avente ad oggetto l’estensione della inversione dell’onere della prova e della presunzione de qua ai compensi dei lavoratori autonomi;
- l’altro avente ad oggetto l’applicazione retroattiva della norma agli anni di imposta precedenti all’entrata in vigore della Legge n. 311 del 2004.
Con il primo gruppo di censure il giudice rimettente ha ritenuto sussistente la violazione dell’articolo 53 della Costituzione oltre che dell’articolo 3 della Costituzione, rilevando che per il reddito da lavoro autonomo non varrebbero le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi tipiche del reddito d’impresa.
Con il secondo gruppo di censure, invece, il giudice rimettente ha sostenuto che la disposizione impugnata, se applicata agli anni d’imposta in corso o anteriori alla novella legislativa, comporta la violazione dell’articolo 24 della Costituzione, in quanto ai contribuenti professionisti viene addossato un onere probatorio imprevedibile ed impossibile da assolvere, nonché la violazione dell’articolo 3, comma 2, della Legge 27 luglio 2000, n. 212, per violazione del principio del contradittorio.
A seguito di tali censure, la Corte Costituzionale ha, innanzitutto, chiarito che anche se le figure di imprenditore e lavoratore autonomo sono per molti versi affini, non è possibile equipararle per quanto attiene alla presunzione che il prelevamento dal conto bancario corrisponde ad un costo a sua volta produttivo di un ricavo.
Ciò perché l’attività dei lavoratori autonomi, a differenza degli imprenditori, si caratterizza per la prevalenza del proprio lavoro e la marginalità dell’apparato organizzativo, apparato che, peraltro, per alcune tipologie di lavoratori autonomi, nei quali è più accentuata la natura intellettuale, è quasi assente.
Ed ancora, la non ragionevolezza della presunzione è avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti si inseriscono in un sistema di contabilità semplificata – del quale per lo più si avvale la categoria – e, pertanto, da tale assetto contabile deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali.
Infine, l’esigenza di combattere l’evasione fiscale, ritenuta rilevante nel settore, è già stata sostenuta dalla normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari che prevede che dal 1° gennaio 2014 vi è l’obbligo, anche se non sanzionato, di accettare pagamenti, di importo superiore a trenta euro, effettuati con carte di debito in favore di imprese e professionisti per l’acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi.
Alla luce di tali argomentazioni, la Corte ha, quindi, correttamente affermato che “nel caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”, con conseguente dichiarazione di illegittimità dell’articolo 32 comma 1, numero 2), secondo periodo, del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’articolo 1, comma 402, lettera a), numero 1), della Legge 30 dicembre 2004, n. 311.
Fonte: www.filodiritto.com