by Gaspare Alberto Gammicchia
Abstract. Il presente lavoro fornisce una chiave di lettura diacronica e sincronica sul tema dell’oblio. È davvero un diritto di nuovo conio o un diritto di cui si è sempre sentita la necessità di tutela? I recenti casi giurisprudenziali analizzati e le nuove iniziative di tutela nazionali ed internazionali, pongono una nuova luce di indagine su un tema quanto mai discusso e di attualità disarmante.
Sommario: 1. La rete. – 2. Internet: Memoria o archivio? – 3. L’individuo e il rapporto tra memoria e oblio. – 4. Il diritto all’oblio. – 5. Storia e legislazione sull’oblio. – 6. Giurisprudenza in materia di oblio: motore dell’evoluzione del diritto.
1. La rete.
Internet ha stravolto la nostra vita, dal suo progenitore ARPAnet[1] sono passati ben 48 anni ma il fine è rimasto sempre lo stesso: collegare persone distanti e permettere di scambiare dati in sicurezza e velocità.
Al pari di un cervello umano, fatto di connessioni tra sinapsi, così Internet utilizza collegamenti ipertestuali (link) per connettere ed immagazzinare dati da chiunque inseriti, in qualunque parte del mondo e in qualsiasi lingua. Comunemente definita la rete delle reti, si comporta esattamente come una tela di ragno: ogni informazione che viene immessa, scambiata e diffusa, ne rimane impigliata.
La domanda che sorge spontanea è: Fino a quando questi dati rimangono invischiati nei meandri del Web?
Ogni passo che muoviamo nel Web lascia una traccia e, come moderni Hansel e Gretel, chiunque può tenere conto di queste tracce attraverso i nostri cookie: “informazioni immesse sul tuo browser quando visiti un sito web o utilizzi un social network con il tuo pc, smartphone o tablet. Ogni cookie contiene diversi dati come, ad esempio, il nome del server da cui proviene, un identificatore numerico, ecc. I cookie possono rimanere nel sistema per la durata di una sessione (cioè fino a che non si chiude il browser utilizzato per la navigazione sul web) o per lunghi periodi e possono contenere un codice identificativo unico”[2]; attraverso la funzione di “copia memoria cache”[3] che ogni motore di ricerca mette a disposizione del soggetto per permettergli di ottenere una copia dei dati testuali di ogni pagina visitata ed archiviata, per offrire il loro servizio anche quando la pagina originale non è momentaneamente disponibile; attraverso la cronologia e la localizzazione delle nostre ricerche[4]; attraverso noi stessi con l’innumerevole mole di informazioni che immettiamo (in termine tecnico: postiamo), quotidianamente sul web attraverso l’utilizzo dei Social: dati personali, foto, video, pensieri; con le testate giornalistiche e culturali, che usano il web come nuovo mezzo di comunicazione e diffusione di notizie e fatti di cronaca.
Ogni momento che i nostri dati lasciano la nostra mente ed il nostro pc vengono immediatamente catturati nella memoria del web, una memoria che – a differenza di quella umana – è potenzialmente illimitata e, cosa ben più grave, “incapace di scordare”.[5]
Ma se i nostri dati passano costantemente da noi al web e vengono costantemente immagazzinati per fini economici, basti pensare ai vari strumenti gratuiti offerti da Google come “Google Search Console”, capace di individuare le parole più cliccate dagli internauti in un certo periodo di tempo e luogo, o “Google Analytics” un servizio in grado di generare statistiche di traffico per siti Web monitorando non solo gli accessi ad un sito ma di stabilirne anche la provenienza,[6] o anche personali, arricchendo la costruzione di una identità digitale dell’individuo anche ed indipendentemente dalla sua volontà e associando alla presenza digitale del soggetto nel web, le preferenze commerciali dettate dalle sue ricerche[7] o dai social stessi[8]; che possibilità ci sono di arrestare o modificare ciò che non è più attuale, non rispecchia più noi stesi o, cosa ancor più grave, è indipendente dalla nostra volontà e lede i nostri diritti?
2. Internet: Memoria o archivio?
Posto che tutto ciò che inseriamo nel web rimane imbrigliato in un ciclo di esistenza potenzialmente infinito, alla luce di ciò è necessario comprendere i meccanismi di funzionamento di questa rete: È una una sorta di grande archivio informatico, contenente una mole sterminata di dati in continua espansione ma con la possibilità di modifica ed eliminazione? O è piuttosto una memoria imperitura ed immodificabile?
In dottrina è presente una duplice tendenza in materia:
– Da una parte si evidenzia proprio come Internet costituisca a tutti gli effetti un vero e proprio archivio di dati, “o meglio un mare di archivi, e cioè uno strumento di memorizzazione e ricerca, idoneo ad incidere significativamente sulla formazione e lo svolgimento della memoria individuale e collettiva»[9] partendo dal concetto di file (in italiano archivio) che di fatto rappresenta un vero e proprio «raccoglitore di informazione digitalizzata nel quale, cioè, sono codificate, in sequenza di “byte”, informazioni leggibili solo da software […] Tali rilievi confermano che non solo tutti i siti Internet che ospitano dati sono archivi, ma qualunque risorsa informatica in grado di supportare la memorizzazione di dati va considerata archivio» arrivando ad argomentare come «In definitiva, Internet, scomposto e ricondotto alla sua intima essenza, può essere considerato uno sconfinato contenitore di file, o rete di contenitori di file”;
– Dall’altra parte si tende a distinguere la memoria dall’archivio[10].
Memorizzare una informazione non è lo stesso di archiviarla, in quanto nella memorizzazione non si segue – necessariamente – un ordine logico e cronologico tra i fatti (un esempio può essere ciò che viene mostrato dai motori di ricerca alla semplice digitazione di una parola), nell’archiviazione, invece, è presente un ordine da seguire e le correlazioni sono eseguite mediante l’utilizzo di metadati, “gli archivi sono mediatori di memoria e l’archivio e` la tecnologia della memoria”.[11]
Questo profilo è particolarmente accentuato nei servizi di memorizzazione online che privatizzano, con specifiche chiavi di accesso, una porzione di spazio virtuale per usi personali: “il cloud computing è uno spazio di archiviazione personale, chiamato talvolta anche cloud storage, che risulta essere accessibile in qualsiasi momento ed in ogni luogo utilizzando semplicemente una qualunque connessione ad Internet”[12] e che di fatto permette di archiviare, elaborare e trasmettere i dati degli utenti che ne usufruiscono (email, documenti, foto, video, immagini, appunti).
Questo utile servizio, gratuito o pagamento, di fatti sembra coniugarsi a mezza via tra una memoria ed un archivio internet, in quanto i file vengono archiviati secondo la prospettiva esaminata poco prima da Ciommo – Pardolesi, ma allo stesso tempo il cloud si configura quale “mediatore di memoria” secondo la prospettiva esaminata da Finocchiaro.
In relazione al cloud, i rischi sono gli stessi di quelli connessi alla memoria web pubblica: la presenza di archivi smaterializzati in cui i dati personali sono immagazzinati nelle Server Farms di aziende terze rispetto al soggetto e il rischio di pirateria informatica connesso all’uso della tecnologica wirelles o l’uso scorretto da parte del cloud provider, comportano spesso l’uso e il furto illecito[13] – e a volte anche inconsapevole – di questi dati sensibili per fini lucrativi, indagini di mercato o per frode informatica[14].
3. L’individuo e il rapporto tra memoria e oblio.
Indipendentemente dal mondo in cui ci approcciamo al problema della struttura della rete ciò che balza immediatamente agli occhi attiene al profilo patologico della presenza dell’individuo in rete, la possibilità di porre un limite a ciò che è in grado di identificarci: che sia il nome, la foto o la nostra storia passata.
Non occupando spazi fisici, non essendo passibile dei limiti umani che caratterizzano la nostra memoria biologica e non essendo presente alcuna distinzione tra memoria a breve e lungo termine[15], essendo la memoria internet una interminabile sequenza di dati ed informazioni perennemente presenti, perennemente utilizzabili, è facilmente intuibile come la presenza del soggetto potrebbe essere esposta ad un ciclo senza fine di esistenza, motivo per cui è importante capire in che modo l’individuo si rapporta ad essa e vive con essa.
Il gap tra memoria individuale (o collettiva) e macchina è sterminato, nonostante la memoria abbia rivestito un ruolo rilevante nella storia umana, come strumento per trasmettere conoscenza, virtù e moniti alle generazioni future[16], così l’avvento di Internet, la più potente memoria esistente ad oggi, ha determinato “[…] un’inflazione della memoria anche perché nella società dell’informazione il bisogno di sapere, espresso dai cibernauti, sarebbe cresciuto più rapidamente della capacità umana di raccontare la storia”. [17]
Paradossalmente da strumento chiave per l’evoluzione, degrada a strumento di ostacolo ad essa “Secondo alcuni, in ragione del rapporto antropologico tra uomo e memoria, occorre evitare che la rete aiuti a ricordare troppo a lungo perché l’essere umano ha bisogno di elaborare e, spesso, dimenticare, per potersi evolvere positivamente”[18], basti pensare alla necessità di abbandonare ricordi spiacevoli inerenti a procedimenti giudiziari, di fermare la diffusione di notizie disonorevoli o alla cancellazione di dati e ricerche che non solo permettono di ricostruire la nostra identità in rete ma anche le nostre preferenze e la nostra vita quotidiana come ad esempio Myactivty, lo strumento sviluppato da google capace di tenere traccia delle ricerche effettuate, dei siti web visitati, i video guardati, i luoghi visitati, in pratica permette di tenere traccia di tutto ciò che il motore di ricerca conosce su di noi.[19].
Appare chiaro, dunque, come è determinante poter riacquisire il diritto a dimenticare ciò che non ha più motivo di essere ricordato e riportato alla luce, per ricominciare a riscrivere la propria storia, nella misura in cui ricordare è perdere e dimenticare è vincere “La serenità, la buona coscienza, la lieta azione la fiducia nel futuro dipendono […] dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare al tempo giusto, quanto ricordare al tempo giusto”.[20]
La semplice degradazione temporale ed identificativa tra un qualsiasi fatto del passato e la persona attuale, segnala la necessità di affermare la possibilità di eliminare dalla memoria ciò che gli arreca disagio, disonore ed, in questa prospettiva, permettere ai soggetti di acquisire il pieno controllo delle informazioni e della propria identità in rete, significa permettergli di riacquisire una vera e propria libertà individuale, fruibile attraverso strumenti pratici ed effettivi quali la presenza di contenuti a scadenza[21] o informando adeguatamente gli utenti della possibilità di poter eliminare i propri contenuti online, per evitare che la propria identità nel web diventi un collage di fatti ed atti non più attuali e conformi al presente o alle proprie identità future.
La memoria e l’oblio, due facce della stessa medaglia che tutelano la presenza dell’individuo nella rete.
4. Il diritto all’oblio.
“Oblìo (non com. obblìo) s. m. [der. di obliare][..] Dimenticanza (non come fatto momentaneo, per distrazione o per difetto di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione dal ricordo)[22]”.
La necessità che si avverte nel mondo del web, capace di immagazzinare qualsiasi dato che ricostruisce il nostro percorso di vita e l’identità di ogni individuo, è quella di proteggersi dimenticando[23].
Sottrarsi alla perenne gogna elettronica, derivante dalla presenza nel Web e dalla possibilità di emergere alla semplice digitazione di una stringa di testo, è la dimensione del diritto in esame.
Partendo da una impostazione quanto più possibile pratica e scevra da nozionismi, possiamo indicare che il diritto all’oblio è – essenzialmente – il diritto ad essere dimenticati, a cancellare i riferimenti non più attuali, lesivi, completi ed aggiornati o, più semplicemente, di alcun interesse pubblico alla loro presenza e diffusione[24].
Ciò è compatibile con quanto espresso dal considerando 65 del regolamento dell’UE 2016/679:
“Un interessato dovrebbe avere il diritto di ottenere la rettifica dei dati personali che la riguardano e il «diritto all’oblio» se la conservazione di tali dati violi il presente regolamento o il diritto dell’Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento. In particolare, l’interessato dovrebbe avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, quando abbia ritirato il proprio consenso o si sia opposto al trattamento dei dati personali che lo riguardano o quando il trattamento dei suoi dati personali non sia altrimenti conforme al presente regolamento […]”.
É dunque in gioco, con il diritto all’oblio, il diritto “a rientrare nell’anonimato, dopo che essa nel passato per il ruolo rivestito, per l’attività svolta o per le vicende di cui è stata volontariamente o meno protagonista ha attirato su di sé i fari della notorietà, suscitando l’interesse pubblico alla conoscenza”[25] e a permettere al soggetto di selezionare cosa può essere oggetto di consultazione pubblica e cosa deve rimanere nella sfera privata dell’individuo nei limiti dei diritti ad esso confliggenti “[…]Tuttavia, dovrebbe essere lecita l’ulteriore conservazione dei dati personali qualora sia necessaria per esercitare il diritto alla libertà di espressione e di informazione, per adempiere un obbligo legale, per eseguire un compito di interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, ovvero per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria”.[26]
Interessanti sul punto sono anche i riferimenti filosofici e letterali che permettono di comprendere appieno il diritto all’oblio e la necessità che questo sia limitato, per non ingenerare danni altrettanto – se non maggiormente – gravi come la sua mancanza.
Milan Kundera, in un suo famoso scritto[27], spiega l’«oblio organizzato», cioè l’uso strumentale della dimenticanza che i regimi totalitari utilizzano per mantenere il potere.
Egli sostiene che quando una nazione perde la cognizione della sua storia e della sua memoria è destinata a scomparire.[28]
Ma è non di certo il solo ad essersi occupato del tema e delle sue ripercussioni di ampio spettro che esso può avere.
In maniera forse inconsapevole lo scrittore di 1984[29] determina un elemento fondamentale del diritto all’oblio: il potere di cancellare il passato (che sia proprio o altrui) per riscrivere il presente ed il futuro.
Basti vedere il ruolo che riveste il protagonista dell’opera di modificare libri e articoli di giornale del passato, seguendo l’ordine impartito dal partito, annullando in questo modo la memoria collettiva: “chi controlla il presente controlla il passato e chi controlla il passato controlla il futuro” questo era il motto del partito del Grande Fratello.
Tutto ciò, in un contesto in cui il diritto all’oblio sembra essere il diritto del nuovo millennio,[30] è giusto che venga posto in debito conto proprio alla luce di esperienze recenti poste in essere da qualche governo nella libertà di espressione dei suoi concittadini o della memoria collettiva così espressa.[31]
Il diritto di scegliere chi essere e come apparire nel mondo digitale è il fine a cui mira il diritto all’oblio, ma è anche il limite più idoneo alla libertà individuale nel web.
5. Storia e legislazione sull’oblio.
Appare quindi necessario analizzare l’origine del diritto all’oblio[32], rimanendo forse stupiti come un diritto apparentemente così moderno, risalga alla giurisprudenza francese del 1963, in relazione alla categoria del rispetto della vita privata e dunque ad un periodo in cui il web e i problemi ad esso connessi erano ben lontani.
La fattispecie prendeva le mosse dal ricorso intentato da una delle amanti del famigerato serial killer Henri Landru (noto come Barbablù), contro il produttore cinematografico e il registra del film, Landru, uscito nel 1963 e basato sulla vita del killer. La donna lamentava che nel film veniva mostrato uno dei periodi più drammatici della sua vita privata e la volontà di non riaverne più traccia, nonostante ella avesse lasciato delle memorie redatte e diffuse personalmente, che il giudice valutò per rigettare la richiesta della ricorrente.
La sentenza rappresentò un punto di partenza fondamentale per la speculazione dottrinale, diede luogo infatti ad una dottrina secondo cui, sotto il profilo soggettivo non esisteva per i privati un diritto all’oblio ma un diritto alla non rivelazione dei propri episodi della vita privata, così come riconosciuto dall’art. 9 del codice civile francese, sottolineando come questo non avrebbe trovato applicazione quando un fatto era diventato di attualità giudiziaria poiché altrimenti in contrasto con il diritto all’informazione.
“La tutela del diritto all’oblio riguardava invece i casi in cui un individuo volesse mantenere il segreto e il riserbo caratterizzanti la sua “nuova vita”: sarebbe stata legittima la pubblicazione di un avvenimento della vita privata di un soggetto soltanto quando la vicenda si fosse per così dire oggettivizzata, diventando di pubblico dominio, ma non quando la rievocazione del fatto fosse in grado di turbare la vita, ormai diversa, della persona. Così la categoria del diritto all’oblio (offline) si costruisce come lo strumento d’elezione per la salvaguardia delle condizioni attuali della persona, in particolare quando diverse da quelle passate. In questo senso il diritto all’oblio corrisponde al diritto all’identità personale attuale”[33].
Potremmo indicarla come una delle prime forme di bilanciamento tra il diritto all’oblio e il diritto di cronaca, in Europa[34] visto che è tutt’oggi difficile provare ad identificare una definizione unica e onnicomprensiva di diritto all’oblio, ancor di più provare a definire il momento esatto in cui essa fu coniata.
Nel 1986, al di fuori di un contesto di innovazione tecnologica e patologiche ripercussioni oggi presenti, ci provò Zeno-Zencovich, scrivendo che il diritto all’oblio è : “il diritto a che i fatti, pure pubblici, attinenti ad un soggetto, con il decorso del tempo cessino di avere tale qualità”[35].
Si devono tuttavia aspettare gli inizi degli anni ‘90 per avere una prima trattazione più completa sul tema da parte Giovanni Battista Ferri in un saggio intitolato Diritto all’informazione e diritto all’oblio[36], in cui l’autore pone all’attenzione del mondo civilistico italiano su un nuovo profilo di indagine giuridica: quello sul diritto all’oblio.
Nel saggio inizia a delineare questo diritto e ne evidenzia l’appartenenza “alle ragioni e alle regioni del diritto alla riservatezza”.
Qualche anno più tardi, Morelli, individuava già una distinzione tra diritto all’oblio e diritto alla riservatezza, nella diversa tutela dell’interesse giuridico posto alla base dei due diritti, avendo ad oggetto il diritto all’oblio «notizie già sfuggite alla riservatezza ed alla sfera di appartenenza esclusiva del titolare, delle quali si vuole quindi, impedire non la circolazione, ma la nuova circolazione»[37] le quali nel contesto della memoria imperitura del web, sono sempre soggetto a rievocazione e mai a dimenticanza[38].
Anche la filosofia provò a dare una definizione del termine, infatti “Nella tradizione filosofica, ad esempio, sono presenti due diverse nozioni di oblio/ dimenticanza e di memoria/ricordo. […]La prima nozione vede nella dimenticanza e nell’oblio qualcosa che è legato alla perdita definitiva o provvisoria di idee, immagini, emozioni, nozioni, sentimenti un tempo presenti nella coscienza collettiva individuale; la seconda nozione lascia intravedere nella dimenticanza dell’oblio qualcosa che non riguarda pezzi o parti dell’esperienza umana, ma la totalità stessa di questa esperienza e la totalità della storia umana. La prima nozione è stata edificata grazie ai contributi che provenivano dalla psicologia, dalla psicoanalisi, dalla sociologia, dalla neurofisiologia, dalla narrativa; la seconda è, invece, rivolta completamente all’orizzonte della metafisica, della storia, delle filosofie della storia, del destino dell’Essere e dell’Occidente”[39].
Indipendentemente dal punto di vista identificativo da cui si guarda il problema dell’oblio, la certezza riscontrabile è che si tratta di un diritto che guarda al passato, alla configurazione identitaria passata dell’individuo che desidera che questa si perda nella memoria storica degli individui e che non sia renda più presente ad alcuno[40].
Una tale necessità, nel Web è maggiormente avvertita che nel mondo reale, in quanto la memoria del web non è caratterizzata, al pari di quella umana, dalla dimenticanza e da un oblio biologico, ma dalla persistenza imperitura del dato.[41]
L’interesse a far sì che qualcosa che riguarda il proprio passato non sia più presente nel mare magnum delle informazioni che troviamo in rete, è dettato proprio dall’imbarazzo, dalla paura, dalla necessità che qualcosa che riguarda il proprio passato non riemerga fuori rovinando il presente ed il futuro; Posner evidenzia, seppur partendo da una analisi economica del problema[42], come sarebbe diversa la necessità se ciò che si intende mascherare riguardi una ricetta culinaria e non un dato imbarazzante del nostro passato.
É chiaro dunque che il diritto a dimenticare e a non veder così associato alla nostra identità digitale eventi e fatti passati discende direttamente dalla tutela della nostra persona nel Web, ma discende altresì – in maniera determinante – anche dal mancato interesse sociale che quel determinato fatto, quella notizia venga associata a quella determinata persona, che esista ancora nella memoria imperitura e sempre attuale di Internet. Non si potrà richiedere di applicare il diritto all’oblio verso quei determinati eventi, quelle notizie che riguardano una o più persone per cui l’interesse sociale è sempre attuale in quanto connesso alla storia umana o alla società del nostro tempo (si pensi alla scoperta della scrittura associata a Gutemberg o al tentato omicidio a Papa Giovanni Paolo II), ma si potrà richiedere l’applicazione del diritto all’oblio ad una notizia di condanna subita da un soggetto anni prima[43] o alla diffusione di foto, video e testi sottratti illecitamente ad un soggetto[44].
In questi termini il diritto all’oblio trova dunque il proprio ostacolo nel diritto ad informare ed informarsi (ex. art. 21 Cost.) e dunque con il diritto di cronaca che, con il web, ha vissuto una seconda rivoluzione industriale alla luce del fatto che chiunque, con bassissimi costi, può creare e distribuire contenuti attraverso blog e pagine web. Una tale necessità è stata sfruttata soprattuto dalle maggiori testate giornalistiche, ma anche da privati come mezzo di divulgazione e, in alcuni casi, mistificazione della verità.[45]
Come tutelare dunque due interessi strettamente contrapposti ma allo stesso tempo legati da una matrice unica che è l’individuo, digitalmente identificato?
La mancanza di normative in materia e la presenza di casi sempre più frequenti davanti alle corti degli Stati, ha spinto i legislatori ad intervenire in materia.
Nel 2009, la deputata leghista Carolina Lussana, aveva proposto un disegno di legge, n. 2455/2009, volto a regolamentare il diritto all’oblio attraverso l’eliminazione dal Web, dopo un periodo prestabilito, delle informazioni lesive della privacy, fissando la permanenza in rete della notizia da un minimo di un anno (per i reati minori) fino a 20 anni (per quelli più gravi). Al gestore del sito web che non si fosse adeguato, sarebbe stata irrogata una sanzione dai 5.000 ai 100.000 euro[46].
La Francia, partendo dalla mancanza di alcuna disciplina applicabile in materia, si è dimostrata sensibile al problema attraverso una iniziativa governativa volta alla creazione di un codice di autocondotta, la «Charte du droit à l’oubli dans les sites collaboratifs et les moteurs de recherch»[47], avente perlopiù natura programmatica, firmato il 30 settembre 2010 dai maggiori gestori di siti e motori di ricerca (tranne Google e Facebook che non hanno aderito) volto ad intervenire in materia e proponendo soluzioni pratiche in merito all’informazione degli internauti, a garantire la protezione dei loro dati ed un percorso volto a raggiungere le soluzioni migliori per garantire un embrionale diritto all’oblio su internet.
Si segnala al riguardo lo sforzo intrapreso dall’Italia – unico in Europa fino ad oggi – con l’introduzione della Carta dei Diritti in Internet, in cui all’art. 11, rubricato Diritto all’oblio, il legislatore così si esprime:
“1. Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica. 2. Il diritto all’oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate. 3. Se la richiesta di cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei dati è stata accolta, chiunque può impugnare la decisione davanti all’autorità giudiziaria per garantire l’interesse pubblico all’informazione”.
Ma anche l’Europa si sta muovendo all’insegna dell’innovazione. Il nuovo regolamento Europeo (UE 2016/679) adottato dal Parlamento e dal Consiglio il 27 Aprile 2016, pubblicato il 4 Maggio 2016 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea e che si applicherà in tutti gli Stati Europei dal 25 Maggio 2018[48], completa il pacchetto di riforma sulla tutela dei dati personali, presentato dalla Commissione Europea nel 2012 ed eleva, abrogando la direttiva 95/46/Ce (regolamento generale sulla protezione dei dati), il diritto alla protezione dei dati personali al rango di diritto fondamentale delle persone fisiche[49].
Nel Capo III intitolato Diritti dell’interessato, nella Sezione III intitolata Rettifica e cancellazione, si legge, all’art 17 rubricato Diritto alla cancellazione(«diritto all’oblio»):
“1) L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti: a) i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; b) l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento; c) l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2; d) i dati personali sono stati trattati illecitamente; e) i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento; f) i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1. 2) Il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato, ai sensi del paragrafo 1, a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali. 3) I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui il trattamento sia necessario: a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; b) per l’adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell’articolo 9, paragrafo 3; d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento; e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria”.
Dall’adozione di un tale regolamento, sembra che chiunque detenga dati personali altrui, si trovi costretto a passare “dalla regola dell’opt-out (i dati dell’utente, a meno di una sua esplicita richiesta, appartengono al fornitore) a quella dell’opt-in (i dati appartengono solo all’utente, è lui a decidere come usarli)”[50].
In coordinazione a questa impostazione è possibile avere un riscontro nell’art. 16, rubricato Diritto di rettifica, nel capo III intitolato Diritti dell’interessato, nella Sezione III intitolata Rettifica e cancellazione, del regolamento europeo del 4 Maggio 2016, ove si legge:
“L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Tenuto conto delle finalità del trattamento, l’interessato ha il diritto di ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti, anche fornendo una dichiarazione integrativa”.
Dalla situazione normativa così evidenziata, il problema maggiore che si riscontra nel Web e che si cerca di risolvere è dato dunque dalla mancanza di una “scissione diacronica tra passato e presente”[51], tutto è immerso in un fluire di informazioni e dati attinenti all’individuo, al di fuori di una chiara distinzione tra ciò che è attuale e ciò che non lo è, tra cioè che utile e ciò che non lo è.
“Il problema della natura persistente della memoria in Rete, pone il problema della decontestualizzazione delle informazioni, laddove la reperibilità delle stesse in Rete consente di accedere a dati incompleti, per mancanza di ulteriori elementi, di frequente emersi in un tempo successivo, però necessaria a completare il quadro informativo”.[52]
In questo contesto è dunque importante permettere la tutela dell’identità digitale in rete del soggetto soprattutto a seguito della diffusione di notizie giudiziarie che lo riguardano, consentendogli così di cancellare dati obsoleti o incompleti dalla rete che potrebbero ledere la stessa funzione rieducativa della pena ex. art 27 comma 3[53].
Ricostruita sotto questa chiave di lettura, nella tutela del diritto all’oblio ci sarebbe una tutela costituzionale derivata ed un favor verso il soggetto, che gli permetterebbe di reinserirsi all’interno del circuito sociale secondo una logica giuridicamente e socialmente orientata, citando Michel Eyquem de Montaigne “occorre dimenticare molto per conservare il poco che conta”.
6. Giurisprudenza in materia di oblio: motore dell’evoluzione del diritto.
Per tutelare l’utente digitale, dalle alterazioni della sua identità in rete è necessario applicare il diritto all’oblio, il quale si deve concretizzare nell’eliminazione dei link che indirizzando a pagine web il cui contenuto individua digitalmente e realmente il soggetto richiedente la de-indicizzazione (operazione opposta alla indicizzazione, ovvero l’inserimento e l’acquisizione dei siti web nel motore di ricerca).[54]
La giurisprudenza in materia è ampia ed abbraccia diversi paesi.
I primi casi in cui, seppure in forma embrionale, entra in gioco il diritto all’oblio ma, soprattutto, il bilanciamento del binomio oblio-cronaca, risalgono agli Stati Uniti, nel caso Melvin v. Reid[55] del 1931.
Il caso ha origine da un ricorso promosso da un’ex-prostituta del New Orleans, contro Mrs. Wallace Reid, produttore cinematografico del film The Red Kimono[56], un film sulla prostituzione basato sulla caso della signora Melvin, la quale era stata accusata di omicidio nel 1917, successivamente processata ed assolta aveva deciso di ritirarsi a vita privata, ma il film, uscito nel 1925, rivelò la sua storia. Ebbene la Corte, in quel caso, stabilì un primo passo verso il futuro diritto all’oblio scrivendo che: “ogni persona che vive nella rettitudine ha diritto alla felicità che include la libertà da inutili attacchi alla propria persona, condizione sociale o reputazione”.”[57]
Sempre negli USA, nel caso Sidis v. FR Publishing Corp.[58] del 1940 i giudici americani si espressero in maniera contraria al caso precedente, tutelando maggiormente il diritto di cronaca che il diritto all’oblio.
Il caso riguardava William James Sidis, un bambino prodigio che, una volta adulto, decise di trascorre la sua vita in tranquillità e nella riservatezza come un privato cittadino, ma la sua volontà venne travolta da un articolo pubblicato sul The New Yorker in cui vennero rese pubbliche le sue qualità. In questo caso la corte affermò una prevalenza del diritto di cronaca nella misura in cui il soggetto è una celebrità agli occhi della società e non può ignorare un tale status.
In pratica la corte affermò quello che oggi potremmo chiamare l’interesse pubblico alla notizia.
In Italia, un primo passo verso la tutela dell’identità digitale del soggetto attraverso il diritto all’oblio e il suo bilanciamento con il diritto di cronaca, è possibile riscoprirlo in una sentenza della Cassazione del 9 aprile 1998, numero 3679[59], la quale, oltre a consolidare l’orientamento già definito in materia di limiti del diritto di cronaca (circa la veridicità oggettiva della notizia, la pertinenza, la continenza della stessa e l’attendibilità della fonte) ha aggiunto un ulteriore profilo, quello dell’«attualità della notizia, nel senso che non è lecito divulgare nuovamente, dopo un consistente lasso di tempo, una notizia che in passato era stata legittimamente pubblicata», proseguendo nel prendere in considerazione “un nuovo profilo del diritto di riservatezza recentemente definito anche come diritto all’oblio inteso come giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”.
Leading case in materia di diritto all’oblio, e del suo rapporto con il diritto di cronaca, è la sentenza 13 maggio 2014, causa C-131/12 della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea[60].
La vicenda prende le mosse nel 1998, dalla pubblicazione di una notizia di vendita all’asta di immobili appartenenti al sig. González, da parte di un quotidiano online spagnolo, a seguito di un procedimento esecutivo intrapreso contro il suddetto per debiti con il sistema previdenziale ormai risolto e privo di alcuna rilevanza.
Nel 2009, il sig. Gonzàlez chiede all’editore della testata online di cancellare l’articolo in questione, in quanto risalente ad una vicenda ormai risolta. Respinta la richiesta, l’anno dopo si rivolge alla divisione spagnola del motore di ricerca, chiamando in causa anche la sede californiana che fornisce il servizio.
Il 5 marzo 2010, Gonzàlez presenta reclamo dinanzi l’AEPD (Agencia Española de Protección de Datos) contro La Vanguardia Ediciones SL che ha pubblicato l’articolo e contro Google Spain e Google Inc. L’oggetto del reclamo è la richiesta di cancellazione o modifica dei riferimenti a due pagine web delLa Vanguardia del 19 gennaio e 9 marzo 1998, sulle quali veniva ancora menzionata l’intera vicenda del procedimento esecutivo verso il soggetto.
Gonzàlez chiedeva altresì, a Google Spain e Google Inc., di occultare i link che facessero riferimento a quelle pagine.
La vicenda ebbe risultati di rilievo nonostante l’AEPD respinse il ricorso contro La Vanguardia, affermando che la diffusione della notizia era rilevante in quanto aveva avuto luogo su ordine del Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali e lo scopo della notizia era proprio la più ampia diffusione della stessa, accolse il ricorso contro Google Spain e Google Inc autorizzando la rimozione dei contenuti lesivi della protezione dei dati e della dignità dei soggetti, ritenendo i gestori dei motori di ricerca responsabili del trattamento dei dati personali ai sensi degli articoli 2, lettere b) e d), 4, paragrafo 1, lettere a) e c), 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, nonché dell’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, agendo quali intermediari della società di informazione.
Nonostante i ricorsi presentati da Google Spain e Google Inc., l’Audiencia Nacional ha sospeso il procedimento e lo ha sottoposto alla Corte di Giustizia, che ha risolto la querelle con la sentenza del 13 maggio 2014 in cui si è affermato la piena responsabilità di un motore di ricerca del trattamento dei dati personali da esso effettuato sulle pagine web in esso presenti e la piena possibilità del soggetto di rivolgersi direttamente al gestore della pagina web, qualora questi non esegua la sua richiesta, di adire le autorità competenti per ottenere, a determinate condizioni, la cancellazione dei riferimenti indicizzati.[61]
La pronuncia diede corso ad un precedente giudiziario ampiamente usato dalle corti europee degli anni successivi e un importante impulso per un intervento in materia da parte di Google Inc.
Proprio a seguito della sentenza del 13 maggio 2014, causa C-131/12 della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha statuito come Google sia il vero titolare del trattamento dei dati personali di tutte la pagine web che vengono pubblicate al suo interno da parte di terzi e il suo contestuale obbligo di cancellare, su richiesta, i link che riguardano i soggetti, il colosso di Mountain View ha dato il via alla costituzione di un apposita commissione di esperti l’Advisory Council on the Right to be forgotten, per cercare ed istruire procedure ad hoc che permettano agli utenti di usufruire del loro diritto all’oblio[62].
In breve, il Concilio ha pubblicato un apposito documento in cui ha individuato quattro criteri per poter valutare la richiesta di de-indicizzazione da parte del soggetto: a) il ruolo dell’interessato nella vita pubblica; b) la tipologia di informazione; c) la fonte dell’informazione; d) il trascorrere del tempo.
La richiesta del soggetto, opportunamente motivata, deve mettere in luce tutti gli elementi utili ai fini della valutazione dei quattro requisiti così indicati e si deve concedere l’opportunità ai gestori dei siti di rivolgersi ai Garanti nazionali e all’autorità giudiziaria nazionale. Si raccomanda, infine, come good practice, di comunicare l’avvenuta de-indicizzazione dei contenuti richiesti al soggetto interessato.
Di rilevanza non indifferente, soprattuto per gli effetti che ne derivano, è la sentenza della Cassazione Italiana n. 5525 del 2012[63] in materia di archivi online. Il caso riguarda una fattispecie simile a quella affrontata dalla corte di Giustizia Europea nel caso Gonzàlez, un esponente politico di un comune lombardo che nel 1993 viene arrestato per corruzione e, una volta finito il procedimento giudiziario a suo carico, viene prosciolto.
Nonostante la notizia venne riportata dalle cronache provinciali, il soggetto, a distanza di anni, si ritrova ancora esposto alla persistente gogna elettronica derivante dal fatto che, attraverso una ricerca Internet, la notizia che permane nel sito del Corriere della Sera è quella dell’arresto e dell’accusa per corruzione, senza alcun riferimento all’epilogo favorevole della vicenda.
La querelle che ripercorre gli ordinari gradi di giudizio, venne risolta dalla Cassazione con una portata fortemente innovativa ma anche problematica, in quanto afferma che “ogni soggetto titolare di un archivio online sia tenuto a realizzare e gestire un sistema di aggiornamento costante di tutti i contenuti man mano inseriti e, qualora non si doti di un sistema del genere, per ovvie ragioni strutturali e soprattutto economiche, sia chiamato a risponderne civilmente in termini di risarcimento del danno e, in presenza dei presupposti di legge, anche in sede penale per trattamento illecito dei dati”[64].
La fattispecie esaminata nella sentenza n. 5525 del 2012 è stata richiamata dal provvedimento del 20 ottobre 2016[65] del Garante della privacy, in merito ad una situazione del tutto simile, il Garante ha affermato: “di dover accogliere parzialmente il ricorso e, per l’effetto, di dover ordinare, ai sensi dell’art. 150, comma 2, al titolare del trattamento di adottare, entro trenta giorni dalla ricezione del presente provvedimento, modalità di aggiornamento delle notizie, riportate negli articoli individuati dal ricorrente, idonee a rendere immediatamente visibile, sia nel titolo che nel contenuto delle anteprime degli stessi, l’esistenza di sviluppi successivi della vicenda ivi rappresentata (mediante, ad esempio, l’inserimento di una nota accanto o sotto al titolo dell’articolo)”.
Queste pronunce avvalorano ancora di più quanto emerge dall’art. 16 del Regolamento UE 2016/679 in merito al diritto di rettifica, pongono interessanti problemi in attesa di soluzione da parte della tecnologia e del diritto in merito alle modalità con le quali i gestori di pagine web devono possono costantemente aggiornare i riferimenti identitari dei soggetti di cui trattato i dati.
In pratica, le nuove pronunce delle autorità giuridiche non si muovono solo nel senso di permettere ad un soggetto di sparire dal web, ma anche di persistere, modificando in maniera veritiera ed attuale, la propria presenza digitale. Anche questo significa tutelare la propria identità digitale.
L’apporto del Garante al tema della tutela dell’identità dei soggetti, dell’oblio e della cronaca non si è fermato a quel provvedimento.
Sempre nel 2016 ha svolto un analisi completa sul rapporto oblio-cronaca nel ricorso presentato da un ex terrorista circa la de-indicizzazione di articoli, studi ed atti processuali che lo vedevano protagonista di una delle pagine più tetre della storia italiana, avvenuta tra la fine degli anni 70 ed i primi degli anni 80[66].
Il ricorso, presentato al Garante dopo il rifiuto di de-indicizzare gli url e suggerimenti di ricerca che lo riguardavano da parte di Google, era basato sulla constatazione del fatto che il soggetto non fosse un personaggio pubblico ma un cittadino privato e dal fatto che, la permanenza di contenuti scabrosi sul suo passato – e divergenti rispetto alla sua personalità oggi – gli causava danni personali e professionali.
Il Garante, rigettando il ricorso, ha bilanciando sapientemente il diritto all’oblio del soggetto con il diritto all’informazione pubblica, evidenziando come le notizie oggetto di permanenza nella rete fanno riferimento a reati particolarmente gravi, rientranti nelle Linee guida sull’esercizio del diritto all’oblio (frutto del lavoro del Gruppo di lavoro dei Garanti della Privacy Europei del 2014) che hanno segnato la storia italiana e di cui il ricorrente ne è stato un protagonista a tutti gli effetti, concludendo che l’interesse posto dalla società verso quel particolare periodo storico e verso quei particolari eventi è ancora molto alta.
Un ulteriore intervento del Garante, recentissimo,[67] riguarda l’accoglimento del ricorso promosso da un uomo contro Yahoo!.
Il caso riguardava uomo che, essendosi già rivolto senza successo a Microsoft ed Aol, lamentava il pregiudizio e il danno personale e professionale che gli derivava dalla pubblicazione di notizie obsolete e inesatte su un url del sito Yahoo!, relativo ad un arresto per un reato poi derubricato perché di minore gravità, avvenuto nel 2015. Tuttavia, quest’ultima circostanza che comportò l’archiviazione con un non luogo a procedere, non veniva riportata nell’apposito sito. Il soggetto si rivolse al Garante che, intanto affermò la propria competenza sul caso in esame, in virtù del principio di stabilimento (nonostante l’url era di un sito statunitense) e, proseguì, ritenendo illegittima la presenza e diffusione, per mezzo del sito web, di informazioni e notizie non aggiornate perché in contrasto con il diritto nazionale ed europeo. Condanna dunque Yahoo! a rimuovere i link che conducono alle pagine web e nei confronti di Microsoft e Aol, che nel frattempo hanno provveduto a rimuovere i link nel corso del procedimento, l’autorità ha dichiarato il non luogo a procedere.
Ultima in ordine di tempo è una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea, la n.27/17[68], che afferma ancora come, in alcuni casi, la necessità di informare può essere ritenuta più importante di quella all’oblio.
Il caso nasceva dal ricorso presentato dal Sig. Manni, amministratore di una società cui era stato aggiudicato l’appalto per la costruzione di un complesso turistico in Italia, contro la Camera di Commercio di Lecce, in merito al presunto danno subito dal ricorrente a seguito della mancanza di acquirenti per il suo complesso turistico derivante (a suo dire) dalla presenza in rete del suo nome nel registro delle imprese, in cui si evidenziava che il Manni era stato amministratore di una società dichiarata fallita nel 1992 e liquidata nel 2005. Ottenuta l’anonimizzazione dei suoi dati in primo grado, la Camera di Commercio propose appello contro la sentenza che, in via pregiudiziale evidenziò come “se la direttiva sulla tutela dei dati delle persone fisiche nonché la direttiva sulla pubblicità degli atti delle società ostino a che chiunque possa, senza limiti di tempo, accedere ai dati relativi alle persone fisiche contenuti nel registro delle imprese”. La sentenza venne sottoposta alla Corte di Giustizia che risolse la questione, affermando come la presenza nel registro delle imprese dei dati (limitati a quanto necessario) del sig. Manni è nell’interesse della certezza del diritto e delle relazione sia della società che dei terzi, evidenziando come anche a distanza di anni possono sorgere controversi per cui è necessario discorrere di quei dati e che la presenza di dati inerenti alla generalità e funzioni che un soggetto riveste all’interno di una società per capitali o a responsabilità limita che offre come unica garanzia il proprio patrimonio è giustificata da esigenze garantistiche.
Concludendo come tutto ciò non esclude che, per situazioni particolari da valutare caso per caso da parte di ciascuno Stato e decorso un periodo di tempo sufficiente lungo dopo lo scioglimento della società, per ragioni preminenti e legittime, possono giustificarsi limiti all’accesso dei dati personali del soggetto, da parte di terzi.
La giurisprudenza in materia si sta arricchendo, negli ultimi anni, con casi tristemente noti legati ad atti di cyberbullismo e furto online di dati personali[69], in particolare modo foto e video personali da dispositivi elettronici e account di memorizzazione digitale (cloud), ai fini di ledere l’identità e la dignità sociale dell’individuo, nel mondo digitale e reale. I fatti, oltre a richiamare come tutela il diritto all’oblio da parte dei motori di ricerca e siti web, si intrecciano con reati e responsabilità di carattere penale[70].
La dottrina, la giurisprudenza e l’innovazione tecnologica[71] lavorano incessantemente per trovare modalità di protezione e tutela sempre più efficienti per difendere l’identità dell’individuo in rete[72], per transitare da “tu sei ciò che Google dice che sei”[73] a ciò che noi scegliamo di essere, ogni giorno.
Dott. Gaspare Alberto Gammicchia
[1] Per un approfondimento in materia si segnala l’articolo di Arturo Di Corinto, La vera storia di Arpanet. Attenzione: non nacque come progetto militare, in www.repubblica.it, del 29 aprile 2016, http://www.repubblica.it/tecnologia/2016/04/29/news/vera_storia_arpanet_progetto_civile_militare-138671565/.
[2] Così la pagina internet del Garante per la protezione dei dati personali, alla voceCookie e privacy: dalla parte degli utenti ,http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/4020961.
[3] Così in Treccani.it, alla voce cache: «In informatica, area di memoria ausiliaria di un elaboratore elettronico (detta in ital. memoria nascosta), caratterizzata da una velocità d’accesso superiore a quella della memoria principale, nella quale vengono registrati istruzioni e dati richiesti con particolare frequenza da un programma, allo scopo di aumentare la velocità di elaborazione», http://www.treccani.it/vocabolario/cache/.
[4] «La Cronologia delle posizioni ti consente di ricevere risultati e consigli migliori sui prodotti Google. Ad esempio, puoi ricevere consigli basati su luoghi che hai visitato con dispositivi su cui hai eseguito l’accesso oppure previsioni sul traffico lungo il tuo tragitto giornaliero. Sei tu a stabilire quali informazioni vengono memorizzate nella Cronologia delle posizioni e puoi eliminare la cronologia in qualsiasi momento.» così la guida di account google, alla voce Gestire o eliminare la Cronologia delle posizioni, nella pagina web https://support.google.com/accounts/answer/3118687?hl=it.
[5] Francesca Eusebi, Anonimato, identità personale e diritto di cronaca nel mondo telematico. La sentenza della Corte di Cassazione n. 5525/2012, in Ciberspazio e diritto 2013, Vol. 14, n. 48 ( 2-2013 ), pp. 183-209.
[6] Per ulteriori approfondimenti in materia si consiglia di visitare il sito Ufficiale di Google Myactivity https://myactivity.google.com; di consultare l’articolo di Costanza Albè, I 7 strumenti da tenere sempre a portata di Click, in Sinfonia Performance, sito web, 29 settembre 2016, https://www.sinfoniaperformance.com/blog/i-7-strumenti-di-google-da-tenere-sempre-a-portata-di-click.
[7] In materia si segnala Guida di Adworks, alla voce impostazioni del remarketing, in https://support.google.com/adwords/answer/2454000?hl=it.
[8] In materia la pagina di assistenza Facebook, FAQ alla voce Preferenze relative alle inserzioni, https://it-it.facebook.com/help/247395082112892.
[9] Francesco Di Ciommo e Roberto Pardolesi, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela dell’identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e Responsabilità, 2012 pag. 701 e ss.
[10] Si richiama in materia l’importantissimo apporto dottrinale dato Giusella Finocchiaro, La Memoria della Rete e il Diritto all’oblio, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, XXVI fasc. 3 – 2010 pag. 391 e ss.
[11] Così S. Vitali, Memorie, genealogie, identità, così come richiamato da Giusella Finocchiaro, La Memoria della Rete e il Diritto all’oblio, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, XXVI fasc. 3 – 2010 pag. 391 e ss.
[12] Così Aldo Barillaro, Cos’è il cloud? Come funziona?, in informaticapertutti.com.
[13] Uno dei casi più recenti in materia analizzato da Alessandro Longo, Caso Leotta, ecco come possono rubarci foto private (e come difendersi), in repubblica.it del 22 settembre 2016 http://www.repubblica.it/tecnologia/sicurezza/2016/09/22/news/caso_leotta_tutti_i_modi_per_subire_il_furto_di_foto_private_e_come_difendersi_-148315305/.
[14] Per una trattazione più completa si rinvia a Mantelero, Processi di outsourcing informatico e cloud computing: la gestione dei dati personali ed aziendali, in Dir. informaz. Informatica, 2010, p. 673-696.
[15] In materia Bianca Gallo, Neuroscienze e apprendimento, 2003, pp. 208.
[16] Si rimanda alla voce Treccani, Foscolo e I sepolcri, in Treccani.it, http://www.treccani.it/scuola/lezioni/lingua_e_letteratura/foscolo_sepolcri.html.
[17] Così Francesco Di Ciommo e Roberto Pardolesi, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela dell’identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e Responsabilità, 2012 pag. 701 e ss., citando V. M. Schonberger, Delete: the virtue of forgetting in the digital age, Princeton University Press, USA, 2009, tradotto in italiano per i tipi di Egea: Delete. Il diritto all’oblio nell’era digitale, Milano, 2010.
[18] Così Francesco Di Ciommo e Roberto Pardolesi, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela dell’identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e Responsabilità, 2012 pag. 701 e ss.
[19] Per maggior informazioni e sulla possibilità di modificare e cancellare le impostazioni che permettono la memorizzazione si rinvia a https://myactivity.google.com e Valentina Ruggiu, My Activity, ecco come conoscere e cancellare ciò che Google sa di te, sulla pagina web di www.repubblica.it 05 luglio 2016, http://www.repubblica.it/tecnologia/sicurezza/2016/06/05/news/google_my_activity-143146965/.
[20] Così Friedrich Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, seconda delle Considerazioni inattuali, 1874.
[21] Così la legge 18 Agosto 2000, n. 235, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 28 agosto 2000, in materia di “cancellazione dagli elenchi dei protesti cambiari”, in cui all’art. 4: « […]La notizia di ciascun protesto levato è conservata nel registro informatico fino alla sua cancellazione, effettuata ai sensi dell’articolo 4 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, e successive modificazioni, o dell’articolo 17 della legge 7 marzo 1996, n. 108, ovvero, in mancanza di tale cancellazione, per cinque anni dalla data della registrazione».
[22] Così la voce oblio del vocabolario online Treccani, in treccani.it, http://www.treccani.it/vocabolario/oblio/.
[23] «E’ con Sigmund Freud che l’oblio viene identificato come una delle facoltà difensive della mente umana che è portata a rimuovere i contenuti mnemonici e i pensieri ritenuti minacciosi, i quali rimangono inconsci e repressi» così il dott. Giuseppe Schiavon, Oblio e dimenticanze, in https://giuseppeschiavon.wordpress.com/2013/05/24/oblio-e-dimenticanze/ 24 maggio 2013.
[24] «L’importanza del requisito dell’interesse pubblico al fine della legittimità della divulgazione della notizia non più attuale emerge con evidenza nella pronuncia del Trib. Roma, 21 novembre 1996, in Dir. fam. pers., 1999, 147-157 con nota di G. Cassano, secondo cui anche se la rappresentazione (televisiva) di un grave e clamoroso fatto di cronaca nera giudiziaria dopo oltre vent’anni dall’accaduto si svolge nell’osservanza dei limiti della verità e della continenza, può ledere il c.d. diritto all’oblio dei familiari qualora manchi un interesse pubblico attuale a conoscere le vicende stesse» così come richiamato alla nota 165 da Lara Trucco, Introduzione allo studio dell’identità individuale nell’ordinamento costituzionale italiano, 2004 – pp. XII-308 Giappichelli editore.
[25] Così Sergio Niger, Il diritto all’oblio (Capitolo II), in Trattato di diritto commerciale e did ritiro pubblico dell’economia Volume 24 Diritto all’anonimato. Anonimato, Nome e identità personale, a cura di Giusella Finocchiaro. Cedam, 2008. Padova.
[26] Così il considerando 65 del Regolamento Europeo 2016/679 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.L_.2016.119.01.0001.01.ITA.
[27] Milan Kundera, Il libro del riso e dell’oblio,Traduzione di Alessandra Mura, 1991, 3ª ediz., pp. 273.
[28] Appare lampante un richiamo all’opera Dei Sepolcri di Ugo Foscolo, ed Mondadori, 1 luglio 1988.
[29] George Orwell, 1984, Mondadori, 2002, pp. 336.
[30] Basti verificare, il numero (totale ) degli URL totali esaminati da Google per la rimozione, pari a 2.015.197 URL ed il numero (totale) di richieste ricevute da Google pari 717.117; con riguardo all’Italia il numero totale di URL che gli utenti hanno chiesto a Google di rimuovere: 148.348 URL ed il numero totale di richieste ricevute da Google da questo Paese: 45.117, nel sito web www.google.com.
[31] «Secondo GreatFire.org, gruppo di monitoraggio della censura, in Cina sono bloccate tutti i portali internazionali. Oltre a un migliaio di piattaforme sociali. […]Sono inaccessibili anche altri servizi collegati come la posta elettronica, le immagini, Google Translate» così Simone Cosimi, Tienanmen, Google bloccato in Cina: la censura dai libri di storia al Web, in www.repubblica.it. 3 giugno 2014.
[32] Sulle origini francesi M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio, Napoli, 2009, così come richiamato alla nota 27 da Elettra Stradella, Cancellazione e oblio: come la rimozione del passato, in bilico tra tutela dell’identità personale e protezione dei dati, si impone anche nella rete, quali anticorpi si possono sviluppare, e, infine, cui prodest?, in Rivista AIC associazione italiana dei costituzionalisti, n. 4/2016, del 12/12/2016.
[33] Così Elettra Stradella, Cancellazione e oblio: come la rimozione del passato, in bilico tra tutela dell’identità personale e protezione dei dati, si impone anche nella rete, quali anticorpi si possono sviluppare, e, infine, cui prodest?, in Rivista AIC associazione italiana dei costituzionalisti, n. 4/2016, del 12/12/2016.
[34] In America il diritto ebbe già una prima trattazione del 1931, v. infra par. 6.
[35] V. Zeno-Zencovich, Una svolta giurisprudenziale nella tutela della riservatezza, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1986, volume 1, pp. 934 e ss.
[36] G.B. Ferri, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Riv. Dir. civ., 1990, pag. 801 ss.
[37] M.R. Morelli, voce Oblio ( diritto all’), in Enc. Dir. Agg., VI, Milano, 2002, cit. p. 851.
[38] «Secondo alcuni, in ragione del rapporto antropologico tra uomo e memoria, occorre evitare che la rete aiuti a ricordare troppo a lungo perché l’essere umano ha bisogno di elaborare e, spesso, dimenticare, per potersi evolvere positivamente» così Francesco Di Ciommo e Roberto Pardolesi, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela dell’identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e Responsabilità, 2012 pag. 701 e ss.
[39] Così Sergio Niger, Il diritto all’oblio (Capitolo II), in Trattato di diritto commerciale e did ritiro pubblico dell’economia Volume 24 Diritto all’anonimato. Anonimato, Nome e identità personale, a cura di Giusella Finocchiaro. Cedam, 2008. Padova, che richiama (in nota n. 5) sull’argomento: Rossi, Il passato, la memoria, l’oblio, Bologna, 1991; Ferraris, Fenomenologia e occultismo, in Vattimo ( a cura di ), Filosofia ’88, Bari, 1989.
[40] Ulteriori riferimenti soprattuto in materia di oblio ed identità sessuale A. Rosano, Transessualità e diritto all’oblio (nota a Trib. Bari, 1° ottobre 1993), in Riv. giur. scuola, 1995, 845-847.
[41] In materia v. supra, par. 1 e 2 del presente capitolo.
[42] R.A. Posner, The right of privacy, 12 Georgia L. Rev. 33 (1978), poi ripreso nel celebre manuale Economic Analysis of Law, V ed., New York, 1998, 46, e (2005) nel blog gestito con Gary Becker, così come riportato nella nota 21 di Francesco Di Ciommo e Roberto Pardolesi, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela dell’identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e Responsabilità, 2012 pag. 701 e ss.
[43] V. caso Corte Europea di Giustizia, in relazione al caso Consteja C-131/12 Google Spain SL, Google Inc., vs. Agencia Española de Protección de Datos, infra par. 6.
[44] Andrea Andrei, Tiziana Cantone e il diritto all’oblio, l’esperto: Ecco perché sparire dal Web è impossibile, op. cit.
[45] In materia si rimanda a Fake news: cosa sono e come riconoscerle. FAQ nel sito web http://tg24.sky.it/mondo/2017/03/28/faq-fake-news-post-verita.html, 29 marzo 2017.
[46] Avv. Angelo Greco, Diritto all’oblio: Internet, dimenticati di me…, in PMI-dome. Il network per le piccole e medie imprese, sito web.
[47] In materia si richiamano i contributi di Francesco Di Ciommo e Roberto Pardolesi, Dal diritto all’oblio in Internet alla tutela dell’identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e Responsabilità, 2012 pag. 701 e ss e Franco Pizzetti, Il caso del diritto all’oblio, Torino, Giappichelli Editore, 2013, pag. 206.
[48] Così il Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali – Pagina informativa, nel sito web del Garante per la protezione dei dati personali, http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/5035744.
[49] Nei considerando iniziali, al numero 1 espone: «La protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale è un diritto fondamentale. L’articolo 8, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea («Carta») e l’articolo 16, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea («TFUE») stabiliscono che ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano».
[50] Franco Pizzetti, Il caso del diritto all’oblio, Torino, Giappichelli Editore, 2013, pag. 126.
[51] Francesca Eusebi, Anonimato, identità personale e diritto di cronaca nel mondo telematico. La sentenza della Corte di Cassazione n. 5525/2012, in Ciberspazio e diritto 2013, Vol. 14, n. 48 ( 2-2013 ), pp. 183-209.
[52] Francesca Eusebi, Anonimato, identità personale e diritto di cronaca nel mondo telematico. La sentenza della Corte di Cassazione n. 5525/2012, in Ciberspazio e diritto 2013, Vol. 14, n. 48 ( 2-2013 ), pp. 183-209.
[53] Sul tema Angelo Alù, Diritto all’oblio: le condizioni di tutela secondo la giurisprudenza, in www.agendadigitale.eu.
[54] Non tutta la dottrina è d’accordo nell’identificare la de-indicizzazione come strumento di applicazione del diritto all’oblio, per uno studio sul punto si rimanda a S. Sica, V. D’Antonio, La procedura di de-indicizzazione, in Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain, Roma, 2015.
[55] Così come citato in nota da Wikipedia l’enciclopedia libera, Melvin v. Reid, 112 Cal.App. 285, 297 P. 91 (1931) https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_all%27oblio.
[56] Così come citato da Wikipedia l’enciclopedia libera, Lawrence Meir Friedman, The Red Kimono: The Saga of Gabriel Darley Melvin, in Guarding Life’s Dark Secrets: Legal and Social Controls over Reputation, Propriety, and Privacy, Stanford University Press, 2007, pp. 217–225, ISBN 978-0-8047-5739-3 https://en.wikipedia.org/wiki/The_Red_Kimono.
[57] Così come citato in nota da Wikipedia l’enciclopedia libera, Melvin v. Reid, 112 Cal.App. 285, 297 P. 91 (1931) at 852-853 https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_all%27oblio.
[58] Così come citato in nota da Wikipedia l’enciclopedia libera, Sidis v F-R Publishing Corporation 311 U.S. 711 61 S. Ct. 393 85 L. Ed. 462 1940 U.S https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_all%27oblio.
[59] Cassazione Civile, Sez. III, del 9 aprile 1998 numero 3679 in Diritto – civile.it.
[60] Un’analisi completa della sentenza è possibile rinvenirla in Bonavita Simone, Il diritto all’oblio: la giurisprudenza del Garante Privacy, in Il Quotidina Giuridico di Wolters Kluwer, 9 gennaio 2017 http://www.quotidianogiuridico.it/documents/2017/01/09/il-diritto-all-oblio-la-giurisprudenza-del-garante-privacy e Massimo Pellingra Contino, La Corte di Giustizia UE ritorna sull’oblio tra diritto alla privacy e diritto ad essere informati: una disamina tra diritto interno e normativa europea, in Osservatorio sulla giurisprudenza anno IV, n. 4, 2014, pubblicato il 23 gennaio 2015.
[61] A conferma di ciò si consulti i considerando 65 e 66, nonché gli art. 16 e 17 del regolamento sulla protezione dei dati personali UE 2016/679 che abroga il 95/46 CE richiamato nella pronuncia http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.L_.2016.119.01.0001.01.ITA.
[62] Per una trattazione sistematica sul punto si rimanda a Bonavita Simone, Il diritto all’oblio: la giurisprudenza del Garante Privacy, in Il Quotidiano Giuridico di Wolters Kluwer, 9 gennaio 2017.
[63] Cassazione Civ. Sez. III 05 Aprile 2012 n. 5525, in civile.it,https://www.civile.it/internet/visual.php?num=81204.
[64] Così come evidenzia Elettra Stradella, Cancellazione e oblio: come la rimozione del passato, in bilico tra tutela dell’identità personale e protezione dei dati, si impone anche nella rete, quali anticorpi si possono sviluppare, e, infine, cui prodest?, in Rivista AIC associazione italiana dei costituzionalisti, n. 4/2016, del 12/12/2016.
[65] Si rimanda a Newsletter del 21 novembre 2016, del Garante per la protezione dei dati personali, nel sito web www.garanteprivacy.it, Registro dei provvedimenti n. 430 del 20 ottobre 2016, http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/export/5690019.
[66] Garante per la protezione dei dati personali, Anni di piombo: no diritto all’oblio per l’ex terrorista, Newsletter N. 416 del 21 giugno 2016 Registro dei provvedimenti n. 152 del 31 marzo 2016, nel sito web del Garante per la protezione dei dati personali, http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/5176031.
[67] Si rimanda a Newsletter N. 425 del 28 febbraio 2017, Garante a Yahoo!: via il link alla pagina web con dati inesatti e superati, del Garante per il trattamento dei dati personali, nel sito web www.garanteprivacy.it., http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/6024066 e di Enrico Bronzo, Yahoo! sotto accusa: via il link a sito Usa con dati inesatti e superati, nel sito web www.ilsole24ore.com, del 28 Febbraio 2017, http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-02-28/yahoo-sotto-accusa-via-link-sito-usa-dati-inesatti-e-superati–153314.shtml?uuid=AEymRDf.
[68] Sentenza nella causa C-398/15 Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Lecce / Salvatore Manni, Corte di giustizia dell’Unione europea, Comunicato Stampa n. 27/17, in www.curia.europa.eu, Lussemburgo, 9 marzo 2017, https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2017-03/cp170027it.pdf.
[69] Alessandro Longo, Caso Leotta, ecco come possono rubarci foto private (e come difendersi), op. cit.
[70] Andrea Andrei, Tiziana Cantone e il diritto all’oblio, l’esperto: Ecco perché sparire dal Web è impossibile, op. cit.
[71] Si segnala l’innovativo strumento per cancellare parte delle propria presenza online, software messo a punto da due sviluppatori svedesi ed in materia si rimanda a Nicola Perilli, Deseat.me, software per cancellare le tracce che dimentichiamo sul web, nel sito web www.repubblica.it del 28 novembre 2016, http://www.repubblica.it/tecnologia/sicurezza/2016/11/28/news/deseat_me_software_per_cancellare_le_nostre_tracce_dimenticate_dal_web-153016885/.
[72] Attualmente in dibattito da parte di molti governi e dalle maggiori piattaforme social, la lotta alle c.d. fake news, ovvero la diffusione di notizie false attraverso il web, lesive dell’identità digitale di un soggetto. In materia si rimanda a Fake news: cosa sono e come riconoscerle. FAQ nel sito web http://tg24.sky.it/mondo/2017/03/28/faq-fake-news-post-verita.html, 29 marzo 2017.
[73] Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2015 pp. 433.
Fonte: www.salvisjuribus.it