Separazione consensuale: se il coniuge ci ripensa e non intende più dare il consenso alla divisione dei beni e agli accordi prima raggiunti.
La separazione consensuale, come suggerisce la parola stessa, si raggiunge solo con il consenso di entrambi i coniugi; se esso manca sin dall’inizio o viene meno durante le trattative, non resta che la carta della separazione giudiziale, ossia quella attraverso l’intervento del giudice, in una ordinaria (e lunga) causa.
Si sappia però che la scelta della separazione giudiziale impedisce la possibilità di separarsi coi procedimenti più celeri quali la negoziazione assistita (quella cioè realizzata dagli avvocati, presso il proprio studio, con un accordo sottoscritto dalle parti) o la separazione in Comune (senza costi e con l’intervento del Sindaco o dell’ufficiale di stato civile).
A variare sono anche i tempi di attesa per poter, dopo la separazione, procedere al divorzio: se ci si separa consensualmente, dopo già sei mesi si può definitivamente divorziare; se, invece, si preferisce la causa, il termine raddoppia (è infatti necessario attendere un anno intero).
Che succede se si revoca il consenso durante il procedimento?
Il consenso alla separazione consensuale potrebbe essere legittimamente negato anche nel corso della stessa procedura ormai già avviata. Così, nel caso di:
– separazione consensuale con negoziazione assistita: gli avvocati dovrebbero dare atto del non raggiungimento dell’accordo e, quindi, chiudere la procedura;
– separazione consensuale in Comune: l’ufficiale di stato civile dovrebbe dare atto della propria incompetenza a procedere alla separazione se non c’è il consenso di entrambi i coniugi e, anche in tal caso, chiudere il procedimento;
– separazione consensuale in tribunale: la revoca del consenso potrebbe intervenire anche quando siano stati ormai depositati gli atti della separazione consensuale in tribunale e, in particolare, dinanzi al Presidente del Tribunale nel corso dell’unica udienza a ciò necessaria. Se durante l’udienza presidenziale fissata per il tentativo di conciliazione uno dei coniugi revoca il proprio consenso, il Presidente ne dà atto nel verbale e non si può più procedere all’omologa alla separazione consensuale. È quanto chiarito dalla Corte di Appello di Catania con un recente decreto [1].
I giudici siciliani hanno quindi rigettato l’interpretazione (della parte avversaria) secondo cui il consenso, una volta prestato, non è unilateralmente revocabile. Al contrario, in assenza di un consenso “validamente e compiutamente” prestato, la separazione consensuale non può essere omologata.
La questione però, ricorda la Corte, “è una delle più controverse del diritto di famiglia”, e lo stesso tribunale di Catania, supportata alcune sentenze della Cassazione, ha iniziato a dichiarare improcedibili i ricorsi cui non segua la conferma del consenso alla udienza presidenziale. Secondo invece altri tribunali, il consenso prestato al momento del deposito del ricorso in tribunale non è più revocabile all’udienza presidenziale [2].
Anche la Suprema Corte ha precisato che il consenso debba essere prestato innanzi al Presidente del Tribunale dopo l’esito (negativo) del tentativo di conciliazione; anzi, “la separazione trova la sua unica fonte nel consenso manifestato dai coniugi dinanzi al presidente del tribunale” [2].
A rigore pertanto, conclude la Corte di secondo grado, nel caso di specie “non si può parlare di revoca del consenso ma di consenso non prestato nei termini e nelle forme previste dalla legge e, di conseguenza, nessun negozio di separazione consensuale può considerarsi validamente stipulato tra le parti”. Sotto il profilo processuale, viene a mancare una condizione di procedibilità: l’omologazione dell’accordo presuppone infatti una concorde richiesta delle parti, che nel caso di specie manca.
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[1] C. App. Catania, decr. n. 822 del 3.07.2015.
[2] Cass. sent. n. 7607/2003.
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Fonte: www.laleggepertutti.it