di Eliana Gaito
La Cassazione, con una sentenza dell’8 aprile, ha affermato che, in caso di acclarati comportamenti di Pas, si passa all’affidamento esclusivo.
Nel nostro ordinamento vige in modo indiscutibile il principio della bigenitorialità. Per quanto concerne gli accordi di separazione e divorzio, un ruolo centrale e primario, viene costantemente attribuito alle modalità dell’affidamento dei figli minori. La regola consiste nell’affidamento condiviso. Si tratta di una regola sicuramente generale e di ampia portata applicativa, ma non è inderogabile.
Quando l’affidamento condiviso diventa derogabile
Ci possono essere delle ipotesi che hanno come conseguenza il carattere derogabile della medesima, in particolar modo nelle fattispecie che mostrano in primo luogo un comportamento definibile come colpevole da parte di uno dei due genitori. Ed è proprio il caso della PAS, nota anche come sindrome di alienazione parentale. Il tutto viene chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6919 dell’8 aprile scorso. La suddetta sindrome consiste nel tentativo, talvolta anche coattivo, del genitore di allontanare il figlio dall’altro genitore. La Cassazione afferma che è possibile evincere tale intento da taluni comportamenti posti in essere, come nella ipotesi di impedire le visite e gli incontri con l’altro genitore o come nel caso di evidenti manifestazioni denigratorie circa la persona dell’ex coniuge. A seguito dell’accertamento dei comportamenti concreti di questa sindrome, il giudice si orienta per l’affidamento esclusivo. Eventuali accordi posti in essere da entrambi sono utili ai fini della completa serenità di ciò che resta del nucleo familiare.
Strumenti per accertare la PAS e poteri del giudice
In caso di denuncia di sindrome di alienazione parentale, il giudice, deve agire seguendo i fatti pratici e logici che si sono verificati nei rapporti tra genitori e figli e tra i due genitori. La sua decisione avrà ad oggetto fatti specifici ed elementi concreti. Non c’è bisogno di una validità scientifica e tendenzialmente assoluta dell’effettiva incidenza della sindrome sul comportamento tenuto da uno dei genitori. Il fine ultimo della sua decisione è il preminente interesse del minore volto ad una vita serena ed equilibrata, nonché ad una costante relazione con chi su di lui continua ad avere la patria potestà. Deve attribuire rilevanza a talune prove e a taluni fatti determinati, dimostrabili anche mediante presunzioni. Nella maggior parte delle ipotesi è il padre a trovarsi in queste situazione e quindi a dover ricevere più tutele.
Fonte: http://it.blastingnews.com