di Matteo Mami, Avvocato
Il soggetto che agisca per ottenere il risarcimento del danno derivante da infortunio in struttura alberghiera, con conseguente vacanza rovinata, è tenuto a provare, pena il rigetto della domanda:
1) il fatto che ha determinato il danno;
2) l’entità delle lesioni subite, mediante idonea documentazione medica;
3) il nesso causale tra la gravità delle lesioni riportate e l’interruzione anticipata della vacanza da parte del danneggiato.
Per di più, la prova circa l’entità delle lesioni subite non può essere fornita mediante i seguenti mezzi istruttori:
1) la prova per testimoni: inammissibile sul punto in quanto meramente valutativa;
2) la consulenza tecnica d’ufficio medica: infatti, in assenza di documentazione comprovante le lesioni riportate nell’infortunio, avrebbe efficacia assolutamente esplorativa; inoltre, non sarebbe, in ogni caso, consentita, la consegna di documentazione al c.t.u., nel corso delle operazioni peritali;
3) l’ordine di esibizione, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., poiché, avendo per oggetto documentazione che ben poteva essere nella disponibilità della parte stessa, con tale mezzo istruttorio, si tenderebbe ad aggirare l’onere probatorio gravante sul danneggiato;
4) il giuramento suppletorio, in quanto nessuna delle parti potrebbe, attesa la specificità del fatto da provare (lesioni fisiche), rispondere in maniera esaustiva.
Il caso
Gli attori acquistavano, tramite agenzia di viaggi, un soggiorno vacanze, tutto compreso, per tre persone, presso un villaggio turistico.
Nel corso della vacanza, il figlio minore degli attori, mentre giocava vicino alla piscina, scivolava sul bordo della stessa e cadeva sul fondo della vasca, riportando lesioni, pertanto la famiglia era costretta a lasciare in anticipo la struttura, usufruendo di soli otto giorni di vacanza, anziché quattordici.
Per quanto sopra, gli attori citavano in giudizio l’agenzia di viaggi e la proprietaria della struttura per ottenere il risarcimento del danno per le lesioni subite dal figlio, nonché da vacanza rovinata per la famiglia.
La decisione del Tribunale
Il Tribunale adito rigettava la domanda ritenendo non provata l’entità delle lesioni patite dal minore, e dunque, impossibile provvedere ad una corretta liquidazione del danno fisico e morale occorso nell’infortunio, nonché preclusa la possibilità di verificare che la gravità delle lesioni subite dal minore avessero legittimamente costretto i genitori ad abbandonare la struttura ed interrompere anticipatamente la vacanza; dunque, l’impossibilità ad effettuare un controllo circa l’esistenza di uno stretto e diretto nesso causale tra le lesioni riportate e la scelta di porre fine alla vacanza.
Il Tribunale rilevava che parte attrice non aveva provveduto alla produzione di alcuna documentazione sanitaria che comprovasse natura e tipo delle lesioni sofferte dal minore, e che, trattandosi di circostanze meramente valutative, una testimonianza sul punto sarebbe risultata inammissibile.
Il Giudice di primo grado riteneva, altresì, inammissibile la richiesta di c.t.u. medica avanzata dagli attori, in quanto, in assenza di alcun tipo di documentazione sanitaria, avrebbe avuto efficacia assolutamente esplorativa; sul punto, il Tribunale si richiamava ad una recente sentenza della Cassazione, n. 12990/2013, secondo cui “La consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitano di specifiche conoscenze. Il suddetto mezzo di indagine non può pertanto essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume e può essere quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie obbligazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati”.
Il Tribunale, inoltre, precisava che l’ingresso di prova documentale nel processo non sarebbe potuta avvenire, nemmeno mediante la consegna di documenti al c.t.u., nel corso delle operazioni peritali, e ciò in considerazione di quanto segue:
a)l’art. 87 disp. att. c.p.c. non prevede la possibilità di depositare documenti durante lo svolgimento delle indagini peritali;
b)l’art. 194 c.p.c. consente al c.t.u., ove autorizzato dal giudice, di richiedere alle parti chiarimenti, non di raccogliere da esse prove documentali;
c)nel rito civile è previsto un rigido sbarramento per le deduzioni istruttorie, superato il quale, non è più possibile alcuna produzione documentale, ed essendo tali termini perentori, la violazione di essi è rilevabile d’ufficio e non può essere sanata dall’acquiescenza delle parti;
d)tale prassi, infine, impedisce la possibilità di un effettivo contraddittorio tra le parti sul documento consegnato al c.t.u.
Sul punto, la Cassazione e parte della giurisprudenza di merito hanno avuto modo di precisare che se il c.t.u. esaminasse documenti irritualmente prodotti e le conclusioni dello stesso, basate anche su detti documenti, venissero recepite dal giudice, la sentenza dovrebbe ritenersi viziata nella motivazione (ex multis, Cassazione Civile 3364/2008 e 11133/1995, Trib. Di Roma 28.04.2002 e 28.10.2002).
Inoltre, l’ordine di esibizione di documentazione, ex art. 210 c.p.c., richiesto dagli attori, veniva ritenuto non invocabile dal Tribunale, in quanto, il potere discrezionale conferito al giudice di ordinare l’esibizione di un documento, deve essere tenuto distinto dalla produzione in giudizio dei documenti cui la parte è tenuta in base ai principi dell’onere della prova, sicché, non può considerarsi in funzione sostitutiva di tale onere probatorio (Cassazione Civile, 13878/2010 e 3499/1987).
Il Tribunale, infine, riteneva di non disporre d’ufficio giuramento suppletorio, come suggerito da parte attrice in comparsa conclusionale, in quanto nessuna delle parti avrebbe potuto, attesa la specificità del fatto da provare (lesioni fisiche), rispondere in maniera esaustiva; riteneva, altresì, non motivata la richiesta di rimessione in termini avanzata dalla parte, ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., in quanto non venivano indicati i motivi che non avrebbero consentito la tempestiva produzione della documentazione per la quale veniva avanzata la richiesta.
In conclusione, il Tribunale di Napoli, Sezione Distaccata di Marano, rigettava la richiesta di risarcimento danni avanzata da parte attrice e la condannava alla rifusione delle spese di lite sostenute da controparte.
Fonte: www.diritto24.ilsole24ore.com