Il matrimonialista: “Norme retaggio di una stagione di conflitto ideologico che non c’è più”
“I tre anni che stabilisce ora la legge non hanno francamente più senso. Furono pensati per fornire ai coniugi una sorta di ‘periodo di meditazione’ che potesse magari portare ad un ripensamento. Ma, se lo lasci dire da chi ha una certa esperienza in materia, di ripensamenti in decenni di professione ne ho contati sulle dita di una mano”. Cesare Rimini, illustre decano degli avvocati esperti in diritto di famiglia, è netto ma pacato nel salutare con favore l’ipotesi che il Parlamento vari entro pochi mesi una legge che riduca ad un solo anno (ma qualche proposta addirittura parla di appena sei mesi) il tempo che deve intercorrere fra la separazione e il divorzio vero e proprio. E ricorda al VELINO come forse le pastoie inserite lungo l’iter per potersi svincolare definitivamente dall’ex coniuge sono retaggi di una stagione di conflitto ideologico fra laici e cattolici che oggi non sussiste più nei fatti. “Siamo pur sempre il Paese del Concordato che è arrivato ad una legge sul divorzio nel 1970 e che nel 1974 ha dovuto anche affrontare con difficoltà un referendum che cercava di abolirla – osserva ancora -. Oggi invece la stagione sociale è più che matura per abbassare i tempi di attesa. Magari però non fino ai soli sei mesi che qualcuno propone. Penso infatti che un pur circoscritto momento, diciamo così di ‘assorbimento’ sia necessario”.
Per quello che riguarda invece l’ipotesi di mantenere i tre anni attuali quando nel matrimonio sono coinvolti dei figli minori Rimini sottolinea innanzitutto che “il migliore aiuto ai bambini lo si dà non separandosi. Ma se il rapporto è irrimediabilmente compromesso meglio accorciare i tempi fra separazione divorzio. Sicuramente in questo modo si abbreviano i contenziosi e i conflitti anche emotivi”. Eppure la Chiesa sembra andare più veloce della società italiana. È di questi giorni la notizia che il Vaticano sta adoperandosi per ridurre dagli attuali due ad uno solo anno i tempi per i pronunciamenti finali della Sacra Rota. “Ma lì – obietta Rimini – parliamo di snellimento delle procedure. E poi si tratta di veri e propri annullamenti. Che sono tutt’altra cosa. In quei casi la Chiesa stabilisce che il matrimonio è viziato all’origine e quindi in pratica non c’è mai stato. Certo, questo annullamento religioso determina a sua volta quello civile, a patto però che sia ‘delibato’: che cioè il procedimento del Tribunale ecclesiastico che lo ha determinato corrisponda ai principi del nostro ordinamento giudiziario in termini di rispetto del contradditorio e in generale del giusto processo”.