Il 31 dicembre scorso è scattata «la deadline del processo civile telematico: chi non saprà usare la firma digitale, la Pec e tutta la struttura della busta con invio degli atti processuali alla cancelleria tramite internet sarà tagliato fuori dal processo», riferisce La legge per tutti. «E ciò perché – continua il sito – a partire da tale data, diventerà obbligatorio depositare telematicamente gli atti endoprocessuali anche per le cause iniziate prima del 30 giugno 2014».
Al di là degli altri dettagli sulla questione, su cui si intrattiene il sito con maggior rigore, vale la pena di chiarire un ultimo punto che, per molti avvocati “meno avvezzi” all’impiego dei computer, può non risultare chiaro fino in fondo.
Chiude l’articolo di La legge per tutti: «L’atto da depositare telematicamente deve essere in formato .Pdf e deve essere ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la scansione di immagini (è il caso di chi, erroneamente, prima stampa l’atto, lo firma e poi lo scannerizza). L’atto che non rispetta questi requisiti e, quindi, depositato in un formato diverso da quello previsto per il processo civile telematico, va dichiarato nullo1».
Questo significa che occorre fare molta attenzione alla pratica, comunissima, di firmare, prendere il foglio, inserirlo nello scanner e accettare la funzione predefinita del programma di gestione dello scanner stesso, che apparentemente tira fuori un file .PDF e il problema è proprio lì: 90 volte su 100 quel file .PDF non rispetta i requisiti.
Il motivo è semplice: i file PDF possono contenere sia rappresentazioni graficheche testo vero e proprio. Nella stragrande maggioranza dei casi, i programmi di gestione degli scanner utilizzano la grafica: fanno, in pratica, “scattare” allo scanner una sorta di fotografia del documento firmato, quindi la incuneano all’interno di un file PDF il quale, una volta visualizzato sul video, darà l’impressione di essere esattamente identico all’originale. Purtroppo il problema è che quella non è una firma digitale, bensì una firma digitalizzata, ossia l’immagine grafica di una firma apposta a penna.
Al contrario, la firma digitale è un’operazione che si svolge mediante il computer e produce un file PDF dove non la si osserva graficamente, ma da specifiche funzioni che ne attestano l’apposizione. Solo questo tipo di atto è conforme all’ordinanza de quo e solo esso è idoneo per essere accettato.
Attenzione, quindi, per tutti quegli avvocati che, sino a oggi, hanno impiegato la funzione di scansione predefinita: occorre “cambiare modello concettuale”. I documenti dovranno essere trasformati in PDF mediante il proprio elaboratore di testi o altro programma idoneo e saranno, graficamente parlando, non firmati. Una volta prodotti, non occorre stamparli: dovranno essere sottoposti alla procedura di firma digitale che produrrà un secondo esemplare dello stesso file PDF, apparentemente identico ma dotato, al proprio interno, di dati cifrati corrispondenti (ed equipollenti) all’apposizione fisica della propria firma.
Qualora vi sia il minimo dubbio, consigliamo di farsi aiutare da un esperto per imparare la nuova procedura senza alcuna esitazione: qualsiasi errore, come dovrebbe essere chiaro a questo punto, si tradurrebbe in un atto nullo.
Ringraziamo l’avv. Daniela Folliero per la segnalazione.
Fonte: nbtimes.it