di Maurizio Villani, Iolanda Pansardi
Compreso tra le convenzioni matrimoniali, limita l’aggredibilità dei beni conferiti solamente alla ricorrenza di determinate condizioni, rendendo più incerta o difficile la soddisfazione del credito, conseguentemente riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti[1], in violazione dell’art. 2740 c.c., che impone al debitore di rispondere con tutti i suoi beni dell’adempimento delle obbligazioni, a prescindere dalla relativa fonte.
Il fondo patrimoniale, così come disciplinato negli artt. 167/171 c.c., comporta un limite di disponibilità di determinati beni, vincolati a soddisfare i bisogni della famiglia[2].
Il Legislatore ha voluto costruire, in un’ottica puramente strumentale, un vero e proprio patrimonio separato di destinazione per soddisfare i bisogni della famiglia e garantirne la sua stabilità economica.
Di fatto, la figura giuridica del fondo patrimoniale può essere costituita per difendere i beni familiari dalle eventuali azioni dei creditori nell’ipotesi in cui l’ attività imprenditoriale o professionale, svolta da uno dei coniugi, versi in una situazione economica difficile o, addirittura, fallimentare (nel caso dell’imprenditore).
Quel di cui si discute è se con la costituzione del fondo patrimoniale i coniugi possono «proteggere» il loro patrimonio dalle azioni esecutive poste in essere dai creditori per le obbligazioni contratte.
Prima di esaminare a come rispondere a tale quesito è opportuno delinearne i profili salienti così come previsti in ambito civilistico.
Aspetti civilistici
Il fondo patrimoniale, come recita l’art. 167 c.c., consiste, come appena precisato, nella imposizione convenzionale, da parte di uno dei coniugi, di entrambi o di un terzo, di un vincolo in forza del quale determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito sono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia.
Caratterizzato dalla temporaneità, presuppone l’esistenza del vincolo coniugale con la conseguenza che l’annullamento, lo scioglimento o la cessione degli effetti civili del matrimonio determinano la cessazione del fondo, salvo che vi siano figli minori; in questa ultima ipotesi, il fondo avrà vita sino al raggiungimento della maggiore età dell’ultimo figlio (art. 171, c. 2, c.c.).
La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta a entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione anche se:
a) i frutti prodotti possono essere utilizzati solo per i bisogni della famiglia;
b) i titoli di credito devono essere vincolati e resi nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo; c) l’amministrazione è regolata dalle norme relative alla comunione legale.
Ed ancora, non è possibile alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità o di utilità evidente.[3]
Né il fondo e i suoi frutti possono essere oggetto di azioni esecutive per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Va precisato, che di fronte agli aspetti salienti di tale istituto relativi alla disciplina dell’amministrazione del fondo patrimoniale, delineata attraverso il richiamo alle norme sulla comunione legale (art. 168, comma 3, c.c.) ed alla disciplina specifica degli atti di alienazione (art. 169, c.c.) è necessario, però, non tralasciare l’ elemento essenziale che lo caratterizza, ossia la finalità a cui i suoi beni ed i suoi frutti devono essere destinati.
Ciò significa che, diversamente da quanto accade nell’ambito della comunione legale, la gestione dei beni del fondo patrimoniale non può avvenire in maniera arbitraria da parte dei coniugi poiché, anche nel caso in cui manchino i figli minori, deve sempre essere rispettata la destinazione funzionale dei beni al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
Di conseguenza, qualora si costituisse ipoteca su un bene del fondo per scopi estranei ai bisogni della famiglia o si alienasse un bene del fondo in assenza del presupposto dell’utilità o necessità evidente della famiglia ecc., ne seguirebbe o l’esclusione dall’amministrazione con possibilità, per qualsiasi interessato, di rivolgersi al giudice perché detti norme per l’amministrazione del fondo o l’obbligo di reintegrazione del patrimonio.
Allora, ben si evince che il rispetto di tali limiti consente di rafforzare , quindi, il concetto del fondo come un patrimonio separato, con vincolo di destinazione e limitazione dei poteri dispositivi dei costituenti in modo da soddisfare i bisogni della famiglia e garantirne la sua stabilità economica.
Diventa, pertanto, una massa patrimoniale unitaria, ma distaccata, in quanto sottoposta ad una disciplina giuridica speciale (in particolare quanto al profilo della responsabilità), rispetto al patrimonio «generale» di un soggetto. Quando si parla di fondo patrimoniale si vuol intendere in particolare un « patrimonio di destinazione» o «patrimonio dedicato» come altri istituti giuridici del codice civile (si pensi al patrimonio ereditario in seguito ad accettazione con il beneficio dell’inventario, i beni oggetto di sostituzione fedecommissaria, l’eredità giacente ) laddove si vuol in realtà evidenziare la caratteristica funzionale. Quale che sia la definizione, ciò che li accomuna è la necessaria destinazione dei beni, in esso inseriti, ad uno specifico scopo.
Tant’è che questa distinta massa patrimoniale – ed ecco l’altra caratteristica della categoria – viene sottratta all’azione esecutiva dei creditori generali e potrà essere aggredita esclusivamente dai «creditori particolari», cioè da quei creditori le cui ragioni di credito sono strettamente collegate allo scopo medesimo e all’utilizzazione dei beni costituenti il patrimonio dedicato.
In quest’ottica ne segue, pertanto, una chiara deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c., per cui il debitore risponde nell’adempimento della prestazione dovuta con tutti i suoi beni presenti e futuri anche se lo stesso comma 2 dell’articolo de quo precisa che vi possano essere forme di limitazione di responsabilità. Orbene nell’istituto in esame, proprio in virtù di specifiche disposizioni legislative, – in mancanza delle quali, valga subito chiarire, nessun fenomeno di separazione può concepirsi secondo l’ordinamento positivo -, i creditori generali potranno far valere le proprie pretese su tutti i beni del debitore esclusi quelli oggetto del patrimonio separato. Quest’ultimi, infatti, saranno protetti da un vincolo di destinazione che li rende necessariamente aggredibili soltanto, come sottolineato, dai creditori che vantino speciali ragioni di credito.
Bisogni di famiglia
Tale funzione (o meglio destinazione di beni), si evince e al tempo stesso appare cristallizzata nell’art. 170 c.c. laddove si stabilisce che “l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.
In particolare, nell’interpretare la nozione di “bisogni della famiglia”, la costante giurisprudenza ha accolto un’interpretazione ampia di essa, tale da contemplare non solo quanto indispensabile alla vita della famiglia, bensì anche le esigenze volte al “pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi” (Cass. 7 gennaio 1984, n. 134)[4].
Per anni, poi, si è discusso se i menzionati bisogni riguardino soltanto quelli alimentari oppure quelli volti ad assicurare un determinato tenore di vita.
E ancora, si è precisato che l’espressione “bisogni della famiglia va intesa nel senso di comprendere anche le complesse e varie esigenze del nucleo familiare considerato anche sotto il profilo dinamico e teleologico in relazione al futuro incremento del benessere economico della famiglia”, risultando escluse “solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da meri interessi speculativi”.
Ora, appare opportuno precisare che perché il vincolo di destinazione per fronteggiare i bisogni della famiglia sia opponibile ai terzi, secondo l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, (si veda Cass., SS.UU., 21658/2009) la costituzione del fondo patrimoniale compresa tra le convenzioni matrimoniali, soggetta alle disposizioni dell’art. 162 c.c., impone l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell’art. 2647 c.c., resta degradata a semplice pubblicità notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile. In mancanza di annotazione a margine, pertanto, il fondo in parola non è opponibile ai creditori, con conseguente reviviscenza della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c.. [5]
Sotto il profilo giuridico, il fondo patrimoniale, che può essere istituito anche durante il matrimonio, ha natura negoziale. Controversa appare invece la tassabilità dell’atto ai fini dell’imposta di registro laddove la circolare 30 novembre 2000, n. 221/E della Agenzia delle Entrate ha precisato che l’imposta di registro è dovuta in misura fissa, pari ad euro 168,00, se la costituzione del fondo non comporta il trasferimento della titolarità dell’immobile, ma il solo vincolo di destinazione. In tale situazione, infatti, l’atto di disposizione rientra tra gli atti residuali ex art. 11, Tariffa, Parte prima, D.P.R. n. 131/1986.[6] L’importo fisso è previsto anche in presenza di trasferimento della proprietà a titolo gratuito. Invece, se la proprietà è trasferita a titolo oneroso, l’imposta di registro è calcolata su base proporzionale.
Ambito di applicazione
Debiti tributari e interesse della famiglia
Alla luce di quanto detto, l’istituto giuridico del fondo patrimoniale nella previsione del legislatore del 1975, doveva offrire uno strumento in grado di fornire una maggiore sicurezza e, conseguentemente, equilibrio sul piano patrimoniale al nucleo familiare. Infatti, preoccupazione diffusa tra le coppie di coniugi, è proprio quella di salvaguardare il patrimonio familiare a fronte dell’esercizio di un’attività di impresa o di lavoro autonomo laddove consentire una difesa vitale per la famiglia dai rischi derivanti non solo da sperperi voluttuari, ma anche da iniziative avventate e pregiudizievoli.
In sostanza, il vincolo di destinazione sui beni familiari è funzionale, da un lato, a salvaguardare i beni medesimi da possibili azioni esecutive dei creditori per i debiti sorti nello svolgimento di un’attività imprenditoriale o professionale, dall’altro a soddisfare i bisogni della famiglia ovvero diritti di mantenimento, di assistenza e di contribuzione.
Il fondo, quindi, rappresenta un tecnicismo giuridico che consente al debitore di sfuggire alla regola generale dell’art. 2740 c.c. in base alla quale «risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri», ma allo stesso tempo non determina la nascita di un soggetto con una personalità giuridica autonoma.
Ben si capisce, pertanto, la fondamentale importanza per i creditori dell’art. 170 c.c., secondo cui l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
Ciò significa, che i beni compresi nel fondo patrimoniale, essendo sottoposti ad un vincolo di destinazione , ossia potendo essere utilizzati esclusivamente per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, non possono essere aggrediti per coprire debiti maturati nell’attività imprenditoriale ovvero professionale e, conseguentemente, non possono essere assoggettati ad azioni esecutive da parte dei creditori.
La questione che spesso si è posta è quella di stabilire se la disposizione in parola rappresenti un limite all’attività esecutiva e cautelare posta in essere dagli agenti della riscossione (ex concessionari) ed in particolare se i beni facenti parte del fondo patrimoniale siano suscettibili di ipoteca, ex art. 77, D.P.R. 29.9.1973, n. 602, e/o di pignoramento immobiliare, disciplinato dagli artt. 49 e segg., D.P.R. 602/1973 e dalle disposizioni contenute nel libro III c.p.c. applicabili in quanto non derogate e nei limiti della loro compatibilità.
La risposta è stata suggerita prontamente, per mettere chiarezza in tale intricata materia, dalla Suprema Corte con sentenza 7 luglio 2009, n. 15862 che ci ha fornito il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo, nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, e non già nella natura delle obbligazioni legale o contrattuale, con la conseguenza che l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia.(si veda anche Cass. 31.5.2006, n. 12998; 1479/2006; 5.6.2003, n. 8991 e 18.7.2003, n. 11230).
Facendo, dunque, corretta applicazione dei principi, va accertato, in punto di fatto, se il debito de quo possa dirsi contratto o meno per soddisfare i bisogni della famiglia, considerato che, se è vero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che tale finalità non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa, è evidente tuttavia che la richiamata circostanza non è, a contrario, nemmeno idonea ad escludere in via di principio che il debito possa dirsi contratto per soddisfare detti bisogni.
L’accertamento relativo alla riconducibilità dei debiti alle esigenze della famiglia costituisce un accertamento istituzionale rimesso al giudice di merito (Cass. 11683/01, 12730/07). Quanto ai criteri cui tale accertamento deve conformarsi, la giurisprudenza in prevalenza accoglie un parametro negativo, affermando che sono ricompresi nei detti bisogni anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (Cass. 5684/06). A tali principi si atterrà il giudice di rinvio, con l’avvertenza, tuttavia, che anche operazioni meramente speculative possono essere ricondotte ai bisogni della famiglia, allorchè appaia certo, in punto di fatto, che esse siano state poste in essere al solo fine di impedire un danno sicuro al nucleo familiare.
E’ invece irrilevante, così precisa la Suprema Corte, qualsiasi indagine riguardo alla anteriorità del credito rispetto alla costituzione del fondo, in quanto l’art. 170 c.c. non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo, ma estende la sua efficacia anche ai crediti sorti anteriormente, salva la possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in revocatoria ordinaria (Cass. 3251/96, 4933/05).
E’ a questo orientamento che si stanno adeguando costantemente parecchie pronunce delle Commissioni tributarie che hanno ritenuto che nel caso di debiti fiscali, manchi quell’inerenza immediata e diretta fra i crediti erariali e i bisogni della famiglia che nascono da una specifica obbligazione legale del tutto “esterna” ai bisogni familiari.
In pratica, i debiti tributari non sarebbero collegati in “modo immediato e diretto” con le esigenze familiari e quindi non legittimerebbero l’esecutività.
Sul punto, CTR Piemonte sez. VI 21.10.2009, n. 54; Comm. Trib Prov. Grosseto, sez. IV, 30-11-2009, n. 280; Comm.Trib. Prov. Milano, sez. XXI, 20-12-2010, n. 437; Comm. Trib. Prov Mantova, sez. 1, 10-06-2008; Comm. Trib. Prov. Padova sez. I del 20 gennaio 2011; in senso contrario CTP. Reggio Emilia 11.06.2010, n. 90.
Degna di nota la CTR Piemonte, Sent. 56/6/09, perché, nelle articolate motivazioni, rigetta la artificiosa distinzione spesso avanzata dal Concessionario della Riscossione sulle iscrizioni ipotecarie: “queste ultime sarebbero “atti cautelari”, ben distinti dagli “atti esecutivi”, ancorché, di quest’ultimi, ne siano atti prodromici. Invero, il termine dell’esecuzione non può essere interpretato in senso stretto, vale a dire essere limitato alla sola fase espropriativa. Se è vero che l’ipoteca non costituisce un atto esecutivo in senso stretto, risulta, però, essere un atto prodromico all’esecuzione, che comporta un vincolo di indisponibilità del bene finalizzato alla conservazione della garanzia in vista di una futura espropriazione forzata. Ne consegue che non è possibile procedere all’apposizione di tale vincolo, poiché sarebbe in contrasto con la volontà legislativa di conservare i beni del fondo patrimoniale alle necessità familiari, ed evitare che possano essere aggrediti dai creditori, anche attraverso atti meramente conservativi, ma che costituiscono certamente un grave pregiudizio per la commerciabilità del bene in vista della sua monetizzazione per soddisfare i bisogni della famiglia”.
Proprio l’iscrivibilità o meno dell’ipoteca sulla natura rispettivamente cautelare o esecutiva dell’istituto ipotecario caratterizza l’orientamento altalenante affermatosi nel 2007 e 2008 e nei primi mesi 2009 (si veda ad es. Comm.Trib.Prov.TOSCANA Pisa, sez. VI, 18-03-2009, n. 74 secondo cui” La costituzione del fondo patrimoniale non è opponibile all’Amministrazione finanziaria la quale è ammessa ad iscrivere ipoteca ex artt. 76 e 77, D.P.R. n. 602/1973 in quanto non trattasi di atto esecutivo bensì misura di natura cautelare alla quale non osta il disposto dell’art. 170 c.c. particolarmente laddove il mero consenso dei coniugi consenta di alienare, ipotecare o dare in pegno i beni”.
E’ recente poi la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione 4 giugno 2010, n. 13622 che allineandosi alla 15862/2009, già citata, puntualizza: “l’iscrizione del vincolo ipotecario sui beni costituiti in un fondo patrimoniale è legittima soltanto quando essa sia prodromica all’esecuzione su detti beni in virtù di un debito contratto dai coniugi per soddisfare i bisogni della famiglia”.
Fondo patrimoniale e obbligazioni per fatto illecito
Di conseguenza, a mente dell’art. 1173 c.c., occorre chiedersi se l’esecuzione sui beni conferiti in fondo patrimoniale può aver luogo anche per il soddisfacimento di un’obbligazione di origine extracontrattuale, la cui fonte abbia inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia, se ad esempio, l’immobile conferito provoca danni.
La soluzione affermativa, trova riscontro nella recente giurisprudenza di legittimità, ove si ammette che, quantomeno nei limiti del vantaggio conseguito dalla famiglia, il fondo possa rispondere anche per obbligazioni da responsabilità aquiliana (Cass., 18.7.2003, n. 11230; Cass., 5.6.2003, n. 8991).
Si sostiene, ad esempio, che, nel caso di danno cagionato da cose facenti parte del fondo o da figli minori (art. 2048 c.c.), l’obbligazione da fatto illecito risulta, di per sé, in stretta correlazione con i beni costituenti il fondo o, comunque, con i bisogni della famiglia. Occorre sempre distinguere a seconda che tali obbligazioni riguardino e in qualche modo avvantaggino il nucleo familiare oppure no. Tale criterio può essere osservato per le obbligazioni di carattere risarcitorio sorte a fronte di una lesione della libertà contrattuale e in questo caso il fondo patrimoniale potrebbe legittimamente essere aggredito ma limitatamente al vantaggio che la famiglia ha conseguito e solo nelle ipotesi in cui obbligati siano entrambi i coniugi. Anche in questo caso occorre prescindere dal requisito della conoscenza del creditore, non ponendosi in queste ipotesi un problema di affidamento dello stesso creditore.
Perplessità sorgono giacchè se è ragionevole ritenere che in caso di obbligazioni (non negoziali) da fatto lecito i beni del fondo patrimoniale rispondano in presenza, e nei limiti, del vantaggio conseguito dal gruppo familiare, occorre cautela nello spingersi fino ad ammettere che anche un fatto illecito, pur se commesso per ottenere un vantaggio a favore del gruppo familiare, sia per ciò solo da considerarsi funzionale al soddisfacimento di bisogni della famiglia nel senso di cui qui si discute.
Ora, il fatto illecito, a prescindere dall’intento dei coniugi, è oggettivamente e direttamente rivolto a ledere una situazione giuridica soggettiva altrui (violando il neminem laedere), mentre i vantaggi eventualmente ottenuti dalla famiglia restano relegati al piano degli effetti meramente riflessi, anche se, in ipotesi, soggettivamente perseguiti e voluti dall’agente. Parte della dottrina, ritiene ad esempio che il fondo non risponde a fronte di obbligazioni risarcitorie da fatto illecito (Bianca, «Se l’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale possa aver luogo per debiti non derivanti da contratto», in «Questioni di diritto patrimoniale della famiglia», Padova, 1989, 111).
Sempre la giurisprudenza di legittimità, invece, rileva come sarebbe ingiustificato, e dunque incostituzionale, applicare un regime differenziato, a seconda dell’origine dell’obbligazione, nei confronti dei titolari di crediti comunque riconducibili alle esigenze della famiglia. Ne deriva che le obbligazioni risarcitorie non si differenziano, ai fini dell’applicazione del regime del fondo patrimoniale, dagli altri crediti, e si ravvisano, di conseguenza, i presupposti per sottoporre i beni conferiti nel fondo stesso all’esecuzione forzata dell’obbligazione risarcitoria.
Revocabilità del fondo e tutela delle ragioni creditorie
In considerazione, poi, delle finalità sostanzialmente strumentali che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale è venuto ad assumere, secondo l’orientamento prevalente, si tenga conto, anche quando proviene da entrambi i coniugi, è atto a titolo gratuito, che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a mezzo di azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., oppure di quella fallimentare ex artt. 67 e segg. della legge fallimentare (sezione I civile, sentenze n. 18065 dell’8 settembre 2004 e n. 8379 del 20 giugno 2000) qualora vi sia il mancato rispetto della ” par condicio creditorum” e si realizzi in un arco temporale sospetto. E’ con la sentenza 17.1.2007, n. 966, che la Suprema Corte conferma essere soggetta ad azione revocatoria ordinaria la costituzione di un fondo patrimoniale in cui i coniugi avevano destinato un bene immobile di proprietà.
Dall’esame della giurisprudenza emerge un frequente uso, nel campo del fondo patrimoniale, dell’azione revocatoria.[7]
Spesso, infatti, il fondo patrimoniale viene usato in frode ai creditori, e l’esperibilità dell’actio pauliana costituisce un valido rimedio. In proposito, basti qui ricordare sinteticamente che la costituzione del fondo patrimoniale da parte di uno o di entrambi i coniugi, anche qualora non determini un effetto traslativo, si ritiene rientri nella nozione di atti di disposizione contemplata dagli artt. 2901 ss. c.c., in quanto suscettibile di diminuire la garanzia patrimoniale generica.
A tal riguardo, si osserva che laddove l’atto di costituzione del fondo sia anteriore rispetto all’insorgenza del diritto di credito, il creditore, allo scopo di rendere inefficace nei suoi confronti l’atto, dovrà dimostrare oltre alla scientia damni anche l’esistenza del consilium fraudis da parte del debitore, inteso come la consapevolezza dei coniugi di arrecare danno alle ragioni creditorie.
La Corte chiarisce inoltre che non è necessario, quanto al profilo oggettivo dell'” eventus damni “, che il fondo patrimoniale abbia reso impossibile la soddisfazione del credito per aver determinato la perdita della garanzia patrimoniale, essendo sufficiente che l’ atto abbia reso più difficile il recupero coattivo del credito , determinando o aggravando il pericolo che una eventuale futura azione esecutiva possa rivelarsi infruttuosa. Interessante la pronuncia a riguardo della Cassazione 7.10.2008, n. 24757 che ha ulteriormente ridotto il carico probatorio dell’attore ritenendo non dovuta la dimostrazione del “dolo specifico, e cioè la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore. Non è cioè necessaria la volontà del debitore (alla data della stipulazione) di contrarre debiti ovvero la consapevolezza da parte sua del sorgere della futura obbligazione, e che l’atto dispositivo venga compiuto al fine di porsi in una situazione di totale o parziale impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto. Deve per converso ritenersi al riguardo sufficiente invero il dolo generico, sostanziantesi nella mera previsione del pregiudizio dei creditori”.
Nell’ipotesi, invece, di costituzione in fondo patrimoniale successiva all’assunzione del debito (ad esempio un’obbligazione fideiussoria), è sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni), la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano viceversa rilevanza l’intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (consilium fraudis) né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.
Peraltro, è d’uopo evidenziare come, ai sensi dell’art. 64 della legge fallimentare “sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante”.
Fondo patrimoniale e sottrazione fraudolenta
Ai fini fiscali, con riferimento alle imposte sul reddito, la opponibilità o meno del fondo patrimoniale al Fisco è stata considerata sotto l’aspetto della configurazione o meno della sottrazione fraudolenta dei beni al pagamento delle imposte di cui all’art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
In particolare, secondo la Corte di Cassazione 7.10.2009, n. 38925 la costituzione di un fondo patrimoniale, avente ad oggetto tutti i beni mobili ed immobili della società, è indubbiamente atto idoneo a limitare le ragioni del Fisco, come già statuito dalla sentenza 5824/2008, tanto più che non sono state indicate le ragioni della costituzione del fondo patrimoniale.
Come già evidenziato, con tale fondo alcuni beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri vengono destinati a soddisfare i bisogni della famiglia e, quindi, sono parzialmente sottratti all’espropriabilità.
Invero, a norma dell’art. 170 c.c., l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei alla famiglia.
Il credito fiscale non ha alcuna attinenza con i bisogni della famiglia ma sorge automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita dell’obbligazione tributaria.
La decisione in commento si segnala per la peculiare impostazione con cui affronta il problema dell’uso improprio del fondo patrimoniale, costituito per compromettere l’esazione del credito tributario.
Ad avviso del S.C., in tale ipotesi si configura la fattispecie delittuosa prevista dall’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, che i giudici di legittimità inquadrano tra i cd. reati di pericolo, in quanto nella predetta norma il momento sanzionatorio è anticipato “alla commissione di qualsiasi atto che possa porre in concreto pericolo l’adempimento di un’obbligazione tributaria, indipendentemente dalla attualità della stessa”.
Il legislatore avrebbe, quindi, punito il semplice pericolo che attraverso alienazioni simulate o altri atti ritenuti fraudolenti – tra cui, per l’appunto, la costituzione di un fondo patrimoniale – il contribuente possa vanificare la riscossione del debito di imposta, a prescindere dall’effettiva verificazione dell’evento criminoso.
Tale prospettiva conduce la Suprema Corte ad affermare nel caso di specie, da un lato, la legittimità del provvedimento di sequestro preventivo sui beni del fondo stesso e, dall’altro, l’inidoneità della segregazione patrimoniale che consegue alla suddetta costituzione, a determinare la deroga al principio generale di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui il debitore risponde delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni presenti e futuri. Deroga che costituisce, come noto, l’effetto principale di tutte le pur diverse fattispecie di segregazione patrimoniale contemplate dal nostro ordinamento.
Orbene, la decisione della Suprema Corte, seppur indirettamente, pare avvalorare la tesi secondo cui va dimostrato lo specifico carattere fraudolento dell’alienazione simulata.
Non basta l’esistenza di un negozio simulato su beni potenzialmente esposti a procedure di riscossione da parte del Fisco ad integrare il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. La simulazione, infatti, deve essere connotata dalla fraudolenza, che può essere esclusa quando l’operazione presenti, quale valida e razionale alternativa alla finalità illecita, una giustificazione lecita.
E’ necessario, pertanto, sottoporre tali condotte ad un’attenta verifica proprio per individuarne la fraudolenza. Tale ragionamento ha portato la Corte di Cassazione a sottolineare opportunamente alcuni indici rivelatori della natura penalmente rilevante di atti potenzialmente idonei a ledere gli interessi del Fisco alla piena riscossione dei debiti tributari ravvisabili quale segnale di sospetto, ad esempio, nella vicinanza temporale o la quasi coincidenza della realizzazione degli atti di alienazione simulata con gli accertamenti o le verifiche tributarie subite dal contribuente.
Considerazioni conclusive
E’ evidente che il fondo patrimoniale, per le sue caratteristiche, possa facilmente prestarsi ad operazioni di sottrazione dei beni alle azioni dei creditori, compreso lo Stato. Tale fenomeno trova giustificazione nella semplicità ed economicità della costituzione del fondo e nella possibilità di costituire un baluardo nei confronti di creditori per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
E’ pur vero, però, che gli intenti illegali possono essere frenati dai creditori con un ottimo strumento nelle loro mani quale l’azione revocatoria ex art.2901 cc. allorchè ravvisino prospettive di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11, D.lgs. 74/2000.
Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, si potrebbe cercare di risolvere la questione della opponibilità del fondo patrimoniale ai debiti tributari proponendo una soluzione intermedia giacchè appare ragionevole ritenere che il vincolo di destinazione operi sicuramente nell’ambito di tutti quei rapporti, o se si preferisce di tutti quei debiti, che hanno una simile natura privatistica e che, per contro, non si possa frustrare un interesse di natura pubblicistica come è quello alla riscossione dei debiti tributari, pur cercando di salvaguardare l’istituzione della famiglia, anch’essa costituzionalmente tutelata.
Pare, allora, di poter concludere che la registrazione di opinioni differenti tra la dottrina e la giurisprudenza meriti una precisazione di carattere normativo, soprattutto alla luce della considerevole diffusione dell’istituto negli ultimi anni.
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[1] Cass. 15 marzo 2006, n. 5684; Cass. 7 marzo 2005, n. 4933.
[2] Cass. 28 novembre 2002, n. 16864; Cass.1 ottobre 1999, n. 10859.
[3] Circolare 30 novembre 2000, n. 221/E.
[4] Cass.18.7.2003, n. 11230; Cass. 9.4.1996, n. 3251; Cass. 15.3.2006, n. 5684 e Cass. 11683/2001. [5] Cass. 25.3.2009, n. 7210; Cass.8.10.2008, n. 24798; Cass. 16.11.2007, n. 23745; Cass. 5684/2006. [6] Cass. Sez. Trib., n. 12071 del 14 maggio 2008.
[7] Cass. 29.4.2009, n. 10052; Cass. 9.4.2009, n. 8680; Cass. 4.3.2008, n. 5816; Cass. 7.7.2007, n. 15310; Cass.17.1.2007, n. 966; Cass.,7.3.2005, n. 4933; Cass. 26.7.2005, n. 15603; Cass. 20.6.2000, n. 8379; Cass.27.3.2001, n. 4422; Cass.22.1.1999, n. 591; Cass. 9.4.1996, n. 3251.
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