Il divorzio facile piace solo davanti al sindaco. Per il resto, la «negoziazione assistita», prevista dalla legge 162/2014 per separazioni e divorzi consensuali, è un mezzo flop.
Da Torino a Roma, passando per Torino e Genova, il sostegno di due avvocati, saltando il passaggio al tribunale civile, non convince affatto gli italiani. Sarà perché i tempi non si riducono poi così tanto, le spese legali non diminuiscono o perché il sistema è ancora nuovo, il risultato non cambia. Per ora si preferisce archiviare le bomboniere del matrimonio alla vecchia maniera.
Ma c’è un ma, e riguarda quegli addii definitivi che, grazie alla nuova legge, possono essere risolti in Comune a costo zero. Peccato, tuttavia, che siano vincolati a due condizioni: non avere figli a carico, né un accordo patrimoniale da siglare. Per chi invece ha prole oppure beni da dividere e alimenti da concordare, il sindaco non basta. E allora si scopre che il tanto sbandierato divorzio facile, così semplice non è. Non solo l’attesa rivoluzione è ancora lontana, ma si è anche causato un carico amministrativo in più alle procure che hanno dovuto attrezzarsi, con personale e mezzi informatici, per far fronte al nuovo iter giudiziario che le vede coinvolte. Parlano chiaro i numeri di tre città campione: Torino, Milano, Roma e Genova. Si tratta, è evidente solo di uno spaccato circoscritto, sufficiente però a rendere l’idea del fenomeno.
Il mese in esame è lo scorso gennaio. La procedura di conciliazione cogestita dagli avvocati delle due parti é stata richiesta da 10 coppie a Torino, 15 a Milano, 30 a Roma, 35 a Genova. Mentre il vecchio modo di separarsi o divorziare ha registrato 177 casi a Torino, 264 a Milano, 580 nella capitale e 150 nel capoluogo ligure.
Un successone incassa invece la nuova pratica in municipio. Ben 144 coppie a Roma, 130 nel capoluogo piemontese, 90 a Milano e 70 a Genova. Il sindaco, ufficiale di stato civile, assegna un tempo di trenta giorni agli sposi per riflettere sulla scelta: se un mese dopo non si ripresentano, l’accordo salta. Altrimenti è fatto, saltando la parcella per gli avvocati (che restano comunque una scelta facoltativa), tribunali e estenuanti attese di udienze.
«Vanno in Comune le coppie che non possono permettersi un legale – osserva l’avvocato matrimonialista Francesca Zanasi -, ma non devono avere figli minori a carico, né alimenti o beni da contrattare. Si tratta comunque di un traguardo importante che è non stato invece raggiunto con la negoziazione assistita dei due avvocati e il coinvolgimento di un sostituto procuratore baipassando il tribunale».
Solo il 3,15% dei torinesi ha intrapreso questa scelta (il 55,83% ha preferito il vecchio metodo e il 41%, molto più che nelle altre tre città campione, è andato in Comune). Poca gente in procura anche tra i romani, solo il 3,97%, (mentre il 76,92% ha optato per la vecchia separazione e il 19,09% ha inoltrato richiesta allo stato civile del Campidoglio). Idem con il 4,06% dei milanesi (il 71,54% ha optato per la vecchia separazione o divorzio e il 24,39% è andato in Comune). Più in controtendenza è Genova: ben il 13,72% ha preferito l’ accordo conciliativo, contro il 58,82% di tradizionalisti e il 27,45% di chi ha chiesto aiuto al sindaco.
Ma perché le coppie non amano la nuova legge? I motivi possono essere molteplici. A partire dal prezzo. La negoziazione prevede infatti due avvocati sia per la separazione sia per il divorzio, mentre con la procedura classica non è obbligatorio l’avvocato per separarsi e ne basta solo uno per i divorzi consensuali. Ci sono poi questioni legate agli aspetti professionali dei legali che rischiano un’ammenda fino a 10 mila euro se non comunicano l’accordo raggiunto entro 10 giorni all’ufficio di stato civile del Comune. Per non dimenticare le eventuali lungaggini in presenza di figli, per il passaggio obbligatorio dal pubblico ministero.
Spetta a lui valutare se l’accordo tra i due ex risponde all’interesse dei bambini. Solo così autorizzerà il documento, altrimenti dovrà trasmetterlo entro cinque giorni al presidente del Tribunale. Quest’ultimo dovrà poi convocare le parti entro 30 giorni per valutare la situazione. E i tempi si allungano. La Stampa
Fonte: www.sanfrancescopatronoditalia.it