di Sara Boscolo Zemello
Ora si guarderà il criterio di autosufficienza e non più il tenore di vita
La sentenza della Corte Suprema di Cassazione rivoluziona le norme sull’assegno di mantenimento in caso di divorzio. D’ora in poi i criteri per concedere il mantenimento non verteranno più sul garantire lo stesso tenore di vita che c’era nel corso del matrimonio. Basterà infatti garantire un assegno che consenta di sopravvivere, anche se la soglia minima è ancora da determinare. Per concedere l’assegno divorzile si terrà conto dello stato di autosufficienza o meno dell’ex coniuge, in base a quattro criteri: “il possesso di redditi di qualsiasi specie”; “il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari”; “le capacità e le possibilità effettive di lavoro”; “la stabile disponibilità di una casa di abitazione”. Nel caso in cui venga dimostrata la non autosufficienza economica sarà possibile disporre del sostentamento.
Il cambiamento ha avuto origine dal caso di Lisa Lowenstein, americana, ex moglie del ministro dell’Economia nel Governo Monti Vittorio Grilli. Le avrebbero negato il sostentamento da parte del marito, dopo aver appurato che la documentazione reddituale era incompleta. La Lowenstein spiega in un’intervista a Repubblica: «Questa sentenza è una sconfitta per tutte le donne. Non ho soldi, non ho una casa, mantengo mia madre vedova e malata. E come moglie ho contribuito in modo determinante alla ricchezza del mio ex marito.» A prima vista questa potrebbe sembrare una norma giusta, imparziale e che tiene conto di entrambi i coniugi, ma in realtà è doveroso considerare il contesto di (in)equità fra uomo e donna, nel contesto economico e lavorativo. Sembra proprio che a perderci sarà la donna: si prenda come esempio una moglie che ha lasciato il lavoro per prendersi cura dei figli, mentre il marito continua tranquillamente a lavorare per fare carriera. Nel caso in cui i due divorzino, alla moglie verrà dato un assegno minimo per (soprav)vivere che non terrà minimante conto degli anni passati a dedicarsi alla famiglia.
Ancora, la Cassazione inquadra il matrimonio come un “atto di libertà e autoresponsabilità” e si oppone a quelle unioni volte all’unico fine della “sistemazione definitiva”. Come se tutte le donne che si sposano approfittassero del matrimonio per cercare di spillare un po’ di soldi dal proprio uomo.«È una sentenza che tutela i “polli” dalle “str…” che li vogliono accalappiare. E non difende le donne che si immolano per la famiglia», dice Chiara Giordano, ex moglie di Raoul Bova.
Una soluzione per ovviare a parte del problema potrebbe essere quella dei patti prematrimoniali, già vigenti in altri Stati ma considerati nulli in Italia. Potrebbe, infatti, essere utile disporre di un accordo che garantisca diritti e doveri in seguito a una probabile separazione o a un possibile divorzio.
Fonte: www.2duerighe.com