di Angelo Maietta
La proposta del Ministro della Giustizia di introdurre il divorzio breve (12 mesi dalla separazione o 9 mesi in assenza di figli) ha da subito sollecitato riflessioni e critiche anche da parte dell’avvocatura a cui, dovrebbe essere demandata la titolarità di gestione del procedimento di divorzio senza “passare” per il Tribunale sulla scia del modello francese della ” negoziazione amministrata”.
Senza voler scendere in dibattiti di tipo ideologico, basta ricordare come l’Italia sia uno dei pochi, se non l’unico, Paese che conosce un doppio passaggio prima di “liberare” le coppie da un matrimonio fallimentare: la separazione ed il divorzio.
Le ragioni di tale opzione riposano nel fatto che la separazione dovrebbe consentire una riflessione maggiore ai coniugi prima di far cessare definitivamente i loro reciproci obblighi (fatti salvi ovviamente i rapporti con i figli che sopravvivono a qualsiasi sentenza).
La motivazione non può essere condivisa; nessuna firma può sostituire la forza di un legame e simmetricamente nessun periodo di riflessione può aiutare a tornare insieme anche perché l’ordinamento riconosce ai coniugi la possibilità di rimettersi insieme senza formalità facendo decadere gli effetti di una sentenza laddove venga ricostituita la comunione materiale e spirituale tra essi.
Piuttosto l’intervento normativo dovrebbe essere più coraggioso. I coniugi che decidono di porre fine ai loro rapporti debbono poterlo fare senza dover passare per la mannaia di procedimenti giurisdizionali il più delle volte iniqui e lunghi decine di anni.
Va salutata con estremo favore la possibilità di negoziare un accordo di separazione con l’ausilio degli avvocati ma per evitare anche uno squilibrio che trovi origine nella maggiore o minore competenza od autorevolezza dell’avvocato si potrebbe pensare di far passare l’accordo all’interno del procedimento di mediazione già previsto per le controversie in materia civile e commerciale (d.lgs. 28/10) creando una figura altamente professionalizzata (peraltro già esistente anche se non riconosciuta come professione regolamentata) del mediatore familiare che possa garantire l’equilibrio del negoziato trattenendo le procedure nel territorio dello Stato ed evitare il fenomeno del “turismo divorzile” che sulla base di deroghe consensuali alla giurisdizione ed alla competenza territoriale consente ai coniugi di andare all’estero a porre fine al loro rapporto.
In definitiva, il momento è favorevole. Non bisogna perdere l’occasione per eliminare un istituto tutto italiano ed inutile come quello della separazione e dare la possibilità ai coniugi di potersi lasciare con effetto immediato dalla loro decisione con l’ausilio degli avvocati dinanzi ad un mediatore familiare che dia forza ed equilibrio al loro accordo.
Rimane il problema della tutela dei figli minori o portatori di handicap; in tal caso, ferma restando l’indispensabilità di eliminare il “doppio passaggio”, il divorzio diretto dovrebbe essere guidato dal Tribunale ma unicamente se dinanzi al mediatore familiare così come immaginato, non si trovi un adeguato bilanciamento dei rispettivi interessi garantendo primariamente i diritti dei figli.
Fonte: www.ilvelino.it