Il diritto all’oblio è la manifestazione del diritto all’identità persona e si attua, richiedendo la rimozione di link e riferimenti a contenuti online ritenuti lesivi. Coincide con la nascita del diritto alla privacy e alla riservatezza concepite da Warren e Brandeis nel 1890 nell’era precedente all’avvento del Web.

Con il World Wide Web la cancellazione dei dati dalla pubblica circolazione è più complessa, dato che sia la fonte originale sia soggetti terzi ripubblicano contemporaneamente le stesse informazioni.

Per questo motivo, il 2019 è stato un anno di svolta a livello europeo e internazionale.

I casi di riferimento

Il caso di Google ha acceso un forte dibattito in merito alla disciplina, perché il motore di ricerca non risultava obbligato a rimuovere quei dati cancellati in Europa fuori dagli Stati membri. A tal proposito, la Corte di Giustizia ha sancito che i contenuti dimenticabili a livello europeo possono essere visibili fra i risultati di Google nel resto del mondo.

Facciamo un passo indietro per comprendere il quadro normativo del diritto all’oblio.

Il diritto all’oblio rientra nella Direttiva europea 95/46/CE in merito alla protezione dei dati personali. Poi, nel 2016 il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) entra in vigore.

Per comprendere meglio la normativa, l’articolo 17 del regolamento europeo sulla privacy collega il diritto all’oblio all’attività di cancellazione nei seguenti casi:

  • I dati raccolti non sono più necessari rispetto alle finalità iniziali, quali contabilità, archiviazione o conservazione legale;
  • Il soggetto revoca il consenso al trattamento delle generalità per uno o più obiettivi oppure lo revoca per particolari categorie di dati, qualora non ci siano norme specifiche;
  • È stato esercitato il diritto di opposizione al trattamento per attività di profilazione;
  • I dati personali sono stati reperiti in modo illecito;
  • Le informazioni vengono cancellate per adempiere al diritto dell’Unione o dello Stato membro;
  • I dati personali sono stati raccolti ai fini dell’offerta di servizi della società dell’informazione e trattati sulla base del consenso di un minore di almeno 16 anni o del genitore.

Questo articolo precisa anche la mancata applicazione del diritto alla cancellazione nei seguenti casi:

  •  L’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
  • L’adempimento di un obbligo che richiede il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro; l’esecuzione di un compito svolto nell’interesse pubblico o l’esercizio di pubblici poteri del titolare;
  • Obiettivi nel settore della sanità pubblica;
  • Fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o ai fini statistici;
  • L’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.

Infine, gli aggiornamenti del 2 dicembre 2019 hanno introdotto delle linee guida 5/2019 sui criteri per l’esercizio di tale diritto con i motori di ricerca, definite in base alle previsioni del Regolamento europeo 2016/679 (parte I).


Fonte: fai.informazione.it