Tribunale Padova, ordinanza 28.08.2014 (Maurizio Reale)
Il Tribunale di Padova, con ordinanza 28 agosto 2014, ha dichiarato inammissibile il deposito telematico della comparsa di costituzione e risposta non essendo tale tipologia di atto presente tra quelli indicati nel decreto ex art. 35, DM 44/11, con conseguente dichiarazione di contumacia della parte così costituitasi.
Le motivazioni poste dal Giudicante a supporto della decisione adottata non appaiono assolutamente condivisibili.
Il Giudice, correttamente, osserva che:
- il procedimento era stato iscritto a ruolo dopo il 30 giugno 2014 applicandosi quindi le novità introdotte dal DL 90/14 convertito nella L. 114/14;
- tra gli atti che l’art. 16 bis del DL 179/12 impone di depositare esclusivamente in via telematica non vi sono gli atti introduttivi del giudizio essendo obbligatorio, invece, il deposito telematico dei soli atti endoprocedimentali;
- il DL 179/12 nulla prevede circa il deposito degli atti introduttivi delle parti;
- sancire l’obbligo del deposito telematico di alcuni atti non significa vietare l’utilizzo di quel medesimo canale comunicativo anche per altri atti ma solo statuire che, alcuni atti, nei procedimenti iniziati dopo il 30 giugno 2014 devono essere depositati attraverso modalità telematica;
- vigendo nel nostro sistema processuale il principio della libertà delle forme, laddove non diversamente stabilito, l’obbligo di utilizzare un certo strumento di deposito non può equivalere, nel silenzio della legge, a statuire il divieto di utilizzo di quel medesimo strumento per gli atti introduttivi, laddove invece per gli atti endoprocedimentali è addirittura obbligatorio con ciò essendo evidente come il deposito telematico sia reputato idoneo dal legislatore a raggiungere lo scopo perseguito dalla norma, ovvero consentire alla parte di depositare l’atto processuale nel rispetto del principio del contraddittorio.
Il ragionamento del Giudicante, così come sopra descritto è, fino a questo momento, assolutamente condivisibile e, ad avviso di chi scrive, poteva essere sufficiente per affermare l’ammissibilità del deposito telematico della comparsa di costituzione e risposta.
Ritiene invece, al fine di decidere se il deposito degli atti introduttivi possa avvenire per via telematica, di dover prendere in esame l’art. 35 del DM 44/11 nonché gli artt. 166 e 167 c.p.c.
E’ da questo momento in poi che, quanto osservato dal Giudice, appare assolutamente privo di qualsiasi fondamento giuridico.
Ritiene infatti il Giudicante, richiamando l’art. 35 del DM 44/11, che tale norma, oltre a disporre al comma 1 che “l’attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni e’ preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio” conferisca al Direttore del DGSIA (la Direzione Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati) anche il potere, di indicare espressamente la tipologia degli atti per i quali sia possibile procedere al deposito telematico se è vero come è vero che, nel richiamare il decreto ex art. 35, DM 44/11 rilasciato al Tribunale di Padova, non esita a mettere in evidenza come gli atti “autorizzati” ad essere depositati telematicamente e quindi, a suo dire, aventi il cd. “valore legale” siano solo: comparse conclusionali e memorie di replica, memorie autorizzate dal Giudice, memorie ex art. 183 comma 6° c.p.c. per i procedimenti contenziosi civili e del lavoro.
Sul punto è fondamentale evidenziare come ad oggi, nel nostro ordinamento, non sia possibile rinvenire norma alcuna – legislativa o regolamentare – che attribuisca alla DGSIA il potere di stabilire e indicare quali atti a “valore legale” siano validamente depositabili in via telematica, limitandosi le norme (in particolare l’art. 35 del DM 44/2011) a indicare che a tale organo spetti esclusivamente di accertare e dichiarare “l’installazione e l’idoneità’ delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità’ dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio“.
Riassumendo, nel nostro ordinamento giuridico:
- non esiste norma che conferisca a DGSIA il potere di indicare quali siano gli atti da depositarsi telematicamente e,
- non esiste norma che preveda e riconosca giuridicamente quello che, impropriamente, viene definito “valore legale”.
Il Giudicante, erroneamente, ritiene invece di avvalersi di questo elemento di valutazione per poter dichiarare non legittimo l’invio telematico della comparsa di costituzione e risposta poiché avvenuto mediante uno strumento di comunicazione privo di valore legale con conseguente declaratoria di inammissibilità della comparsa di costituzione per non essere questo specifico atto processuale ricompreso nel decreto di cui all’art. 35, DM 44/11.
Si omette ogni commento in merito al fatto che, ad avviso del Giudice di Padova, sarebbe altresì privo di valore legale anche lo strumento di comunicazione evidenziando, sul punto, solo che di tale mezzo è proprio DGSIA ad attestarne, con decreto dirigenziale, l’installazione e l’idoneità.
Ad avviso del Giudice, mancando presso il Tribunale di Padova, l’autorizzazione ex art. 35, DM 44/11 per il deposito telematico della comparsa di costituzione e risposta lo stesso, ai fini della sua ammissibilità, deve essere considerato, per analogia, a quello del deposito cartaceo inviato a mezzo posta essendo la mail certificata, così come la raccomandata, due mezzi di comunicazione e, conseguentemente, valutarne la legittimità applicando la disciplina generale sulla costituzione delle parti così come disposta dagli artt. 166 e 167 c.p.c. nel giudizio ordinario di cognizione.
A tal proposito il Giudice osserva che:
1) in tali articoli nessun riferimento viene fatto al PCT;
2) il deposito cartaceo in cancelleria, consentendo a quest’ultima il controllo dei documenti offerti in comunicazione, sarebbe posto anche e soprattutto a garanzia della regolarità del contraddittorio in assenza del quale non potrebbe darsi corso al procedimento essendo il contraddittorio direttamente tutelato dal secondo comma dell’art. 111 della Costituzione.
Nel rilevare ciò il Giudicante equiparando, in sostanza, il deposito effettuato tramite servizio postale con quello effettuato tramite PCT, dimentica che, in quest’ultimo, si ha un duplice controllo: il primo, effettuato automaticamente dal software del Ministero della Giustizia a seguito del quale viene inviata al mittente una PEC contenente i relativi esiti e, il secondo, da parte della cancelleria la quale, dopo averlo effettuato, accetta definitivamente l’atto inviato telematicamente comunicando al mittente il perfezionamento del deposito; a ciò si aggiunga che, quanto depositato telematicamente è, dopo l’accettazione del cancelliere, immediatamente visibile alle altre parti costituite mediante il sistema “Polisweb” con il vantaggio che le stesse parti possono effettuare tutti i controlli in relazione a quanto depositato dalla controparte senza doversi recare fisicamente in cancelleria e quindi con modalità più agevole e rapida rispetto al deposito tradizionale.
Per quanto sopra evidenziato appare, da una parte, non appropriato il riferimento del Giudicante alla sentenza della Corte di Cassazione 21 maggio 2013, n. 12391 e, dall’altra, non si comprende il motivo per il quale non abbia, il medesimo, tenuto nella dovuta considerazione quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Civile, SS.UU., sentenza 4 marzo 2009, n. 5160 la quale, evidenziava che:
- il principio di libertà delle forme deriva dalla circostanza che tutte le forme degli atti del processo sono previste non per la realizzazione di un fine proprio ed autonomo, ma allo scopo del raggiungimento di un certo risultato, con la conseguenza che l’eventuale inosservanza della prescrizione formale sarebbe comunque irrilevante ove l’atto viziato raggiunga ugualmente lo scopo cui era destinato;
- le norme che prevedono il deposito degli atti in cancelleria non ne specificano anche il modo e comunque non è, in particolare, richiesto espressamente il contatto personale tra il depositante e cancelliere;
- il ricorso al mezzo postale non pregiudica le esigenze di controllo e semmai risponde ad esigenze di maggiore certezza, tanto da essere utilizzato anche per le notificazioni, dovendosi comunque, in ultima analisi, darsi rilievo all’intervenuto raggiungimento dello scopo, avendo il cancelliere ricevuto il fascicolo e avendo valutato regolare il suo contenuto e il suo deposito.
Pertanto, la Suprema Corte esclude categoricamente che si sia in presenza di una difformità dallo schema formale tale da far ritenere l’atto inesistente e del tutto improduttivo di effetti giuridici, se alla fine del procedimento, pur difforme dallo schema di legge, il plico perviene al cancelliere, che ben può compiere tutte le attività necessarie ai fini del controllo della ritualità della documentazione; al riguardo si osserva anche che il deposito in cancelleria può essere effettuato anche da parte di un soggetto diverso dal procuratore della parte, e che lo strumento del deposito a mezzo posta non è sconosciuto al processo civile.
Le stesse considerazioni così come enunciate dalla Suprema Corte a SS.UU. con la sentenza 4 marzo 2009, n. 5160, non possono non estendersi anche al deposito effettuato tramite PCT, ove per assurdo, si condivida il ragionamento del Giudice del Tribunale di Padova per il quale, l’art. 35 del DM 44/11, oltre a disporre al comma 1 che “l’attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni e’ preceduta da un decreto dirigenziale che accerta l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio”conferisce al Direttore del anche il potere, di indicare espressamente la tipologia degli atti per i quali sia possibile procedere al deposito telematico.
E’ palese come l’ordinanza del 28 agosto 2014 del Tribunale di Padova, dichiari l’inammissibilità del deposito telematico della comparsa di costituzione sull’erroneo presupposto che l’art. 35 del DM 44/11, conferisca al Direttore del DGSIA anche il potere (inesistente sotto il profilo normativo) di indicare espressamente la tipologia degli atti per i quali sia possibile procedere al deposito telematico e ciò nonostante che:
- esiste nel nostro ordinamento il principio di libertà della forma la quale non risulta essere configurata come fine a se stessa ma quale strumento indispensabile per consentire all’atto di raggiungere il suo scopo;
- l’art. 35 del DM 44/11 nulla preveda circa l’individuazione degli atti da depositare telematicamente;
- il deposito telematico della comparsa di costituzione sia giunto in cancelleria;
- i controlli automatici abbiano dato esito positivo;
- l’atto sia stato definitivamente accettato dal cancelliere;
- l’atto e i documenti allegati fossero disponibili nel fascicolo informatico del procedimento per la visione (e per qualsiasi tipo di controllo) alle altre parte costituite tramite il sistema Polisweb;
- l’atto così depositato abbia, comunque, sicuramente raggiunto il suo scopo (art. 156 c.p.c. comma 3).
Proprio per evitare decisioni (come quella del caso in esame) “fondate” attraverso l’utilizzo di prassi applicative dell’art. 35 DM 44/11, dalle conseguenze estremamente pericolose sia in termini deontologici che di responsabilità professionale, l’Avvocatura in generale ed in particolare il gruppo di lavoro della F.I.I.F./CNF (Fondazione Italiana per l’Innovazione Forense), a conclusione dell’attività di analisi e commento al Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90 recante “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” ed a completamento di quanto evidenziato e consegnato quale documentazione in sede di Tavolo permanente per l’attuazione del Processo Civile Telematico,aveva proposto di estendere, espressamente, la facoltatività del deposito telematico a tutte le tipologie di atti processuali, anche al fine di consentire alle sedi virtuose di perseguire l’obiettivo di rendere interamente informatico il fascicolo processuale, posto che la funzionalità dei servizi informatici risulta garantita dalla circostanza che su tutto il territorio nazionale è vigente l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti di cui al DL 179/12.
Per approfondimenti:
- Il processo telematico ed i suoi strumenti – Corso online Altalex Formazione.
(Altalex, 8 settembre 2014. Nota di Maurizio Reale)
Tribunale di Padova
Ordinanza 28 agosto 2014
OMISSIS
Il Giudice Istruttore a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 28/08/2014, rilevato che preliminarmente vada affrontata la questione relativa all’ammissibilità della costituzione della convenuta avvenuta solo telematicamente in data 20/08/2014 mediante invio a mezzo PEC direttamente nel sistema P.C.T. con la Consolle dell’avvocato.
La questione appare particolarmente complessa per l’assoluta novità del thema decidendum, perlomeno per questo ufficio giudiziario, sicché appare opportuna una approfondita disamina della questione.
Va in primo luogo osservato che il presente procedimento è stato iscritto a ruolo in data posteriore al 30/06/2014 sicché allo stesso si applicano pienamente le novità introdotte dal DL 90/2014 convertito nella legge 114/2014 con la quale si è disciplinato l’obbligo nel deposito di alcuni atti processuali che può avvenire solo in via telematica.
Va subito osservato che tra gli atti che l’art. 16 bis del D.L. 179/2012 impone di depositare esclusivamente in via telematica non vi sono gli atti introduttivi del giudizio visto che gli unici atti per cui è obbligatorio l’invio telematico sono quelli endoprocedimentali.
Un tanto è espressamente previsto dal comma 1 poiché l’art. 16 bis utilizza la frase “il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche”.
Sulla base di tale dettato normativo, i tribunali di Torino e Foggia hanno già dichiarato inammissibili due costituzioni in giudizio che avevano visto la parte ricorrente/attrice inviare l’atto introduttivo solo in modalità telematiche senza il deposito cartaceo.
Quelle decisioni appaiono corrette.
Va in primo luogo osservato che l’art. 16 bis del D.L. 179/2012, peraltro non interessato dalle recenti modifiche del D.L. 90/2014, nel suo primo comma si occupa solo di sancire l’obbligo dell’invio con modalità telematiche degli atti endoprocedimentali, ma nulla prevede sugli atti introduttivi di attore e convenuto lasciando quindi un vuoto normativo nel processo civile telematico perché sancire l’obbligo dell’invio telematico di alcuni atti non significa vietare di utilizzare quel medesimo canale comunicativo anche per altri atti, significa solo statuire che alcuni atti, nei procedimenti iniziati dopo il 30/06/2014, devono essere inviati secondo particolari modalità tecniche che prima non esistevano.
Poiché nel nostro sistema processuale vige il principio della libertà delle forme, laddove non diversamente stabilito, l’obbligo di utilizzare un certo strumento di trasmissione non può equivalere, nel silenzio della legge, a statuire il divieto di utilizzo di quel medesimo strumento per gli atti introduttivi, laddove invece per gli atti endoprocedimentali è addirittura obbligatorio.
Se l’invio telematico è addirittura obbligatorio per gli atti endoprocedimentali ciò comporta innanzitutto che quella tipologia di strumento di invio è reputato idoneo dal legislatore a raggiungere lo scopo perseguito dalla norma, ovvero consentire alla parte di depositare l’atto processuale nel rispetto del principio del contraddittorio.
Nel silenzio della legge, un primo elemento di valutazione per decidere se l’invio degli atti introduttivi possa avvenire per via telematica, potrebbe allora essere rappresentato dal decreto ex art. 35 di cui è destinatario questo ufficio giudiziario e che è reperibile anche sul sito pst.giustizia.it a cui qualunque cittadino, avvocato del convenuto compreso, possono accedere per prendere cognizione di quale sia il contenuto del decreto di cui all’art. 35 di cui è destinatario questo ufficio così come è possibile vedere i decreti rivolti a tutti gli uffici giudiziari d’Italia siano essi Tribunali o Corti d’Appello.
Il decreto autorizzativo ex art. 35 comma 1 del D.M. 44/2011 è quel particolare atto amministrativo autorizzativo adottato dal Direttore del DGSIA con cui il Direttore, in seguito alla sperimentazione ed all’analisi della dotazione informatica del Tribunale di Padova, ha decretato che questo ufficio giudiziario sia autorizzato a ricevere gli atti e solo quelli con valore legale, indicati in quell’atto autorizzativo.
Il decreto ex art. 35 di cui è stato destinatario il Tribunale di Padova datato 3 giugno 2014 prevede l’attivazione dei servizi telematici relativamente alle comparse conclusionali e alle memorie di replica, alle memorie autorizzate dal Giudice e le memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c. per i procedimenti contenziosi civili e del lavoro.
Questo elemento di valutazione porta inevitabilmente a ritenere non legittimo l’invio telematico della comparsa di costituzione poiché avvenuto mediante uno strumento di comunicazione privo di valore legale con conseguente declaratoria di inammissibilità della comparsa di costituzione per non essere questo specifico atto processuale ricompreso nel decreto di cui all’art. 35 pur se tecnicamente possibile.
A tale conclusione si giunge da un lato osservando che la comparsa di costituzione non è un atto che possa essere inviato telematicamente con valore legale mancando tale atto nell’autorizzazione citata e dall’altro osservando che se l’atto inviato telematicamente non trova una specifica copertura normativa speciale esso deve essere considerato alla stregua di un atto cartaceo di costituzione inviato a mezzo posta essendo la mail certificata, così come la raccomandata, due mezzi di comunicazione.
Se così è dobbiamo applicare la disciplina generale sulla costituzione delle parti e rifarci quindi agli artt. 166 e 167 c.p.c. che disciplinano la costituzione dell’attore e del convenuto nel giudizio ordinario di cognizione senza prevedere alcun riferimento al Processo Civile Telematico.
Quei due articoli prevedono che l’atto di citazione e la comparsa di costituzione debbano essere “depositati” in cancelleria.
Il fatto che le due norme in questione utilizzino il verbo depositare fa ritenere che qualcuno fisicamente si rechi in cancelleria a consegnare al Cancelliere l’atto sul quale apporre il timbro di depositato.
Un tanto è anche l’orientamento conforme della Cassazione da ultimo ribadito anche da Cass. Sez. 3 n. 12391 del 21/05/2013 la quale ha statuito che “La disciplina risultante dall’art. 165 cod. proc. civ. (e dagli artt. 72, 73 e 74 disp. att. cod. proc. civ.), nel richiedere alla parte attrice – a mezzo del proprio procuratore o personalmente nei casi consentiti dalla legge – il deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo e del proprio fascicolo, contenente l’originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione, è finalizzata a consentire alla cancelleria il controllo dell’esistenza dei documenti prodotti ed alla parte convenuta di contestarne, eventualmente, sia la genuinità che l’attinenza rispetto alla questione da trattare. Di conseguenza essa -mirando a soddisfare esigenze sia di correttezza che di certezza in ordine all’instaurazione del rapporto processuale – non si pone in contrasto né con gli artt. 24 e 111 Cost., né con il diritto dell’Unione europea, in particolare quello emergente dalle sentenze della Corte di giustizia in tema di libera circolazione delle persone, secondo cui l’osservanza della normativa processuale interna non restringe alcuno spazio di giustizia, che va pur sempre realizzato nel rispetto dei diritti fondamentali e delle differenze degli ordinamenti e delle tradizioni giuridiche degli stati membri”.
Non deve sviare l’attenzione il fatto che il presente procedimento sia un procedimento possessorio, che è quindi processualmente sottoposto alle forme di cui all’art. 669 bis c.p.c., in quanto compatibili, in luogo delle normali regole sulla costituzione di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c., perché la questione della regolare costituzione delle parti non è questione riconducibile alla “omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio” come recita la norma sul procedimento cautelare uniforme, ma è proprio una questione di regolarità del contraddittorio in assenza della quale non può darsi corso al procedimento essendo il contraddittorio direttamente tutelato dal secondo comma dell’art. 111 Cost.
Gli unici casi in cui la Corte Costituzionale ha ammesso la costituzione anche a mezzo di spedizione postale riguardano il processo tributario, e l’opposizione all’ordinanza ingiunzione che segue il rito lavoro in virtù di richiamo.
Proprio a composizione di un contrasto emerso nella sezione Lavoro le Sezioni Unite nel 2009 avevano affermato il principio, rimasto peraltro totalmente isolato, che anche la comparsa di costituzione può essere inviata a mezzo raccomandata (Cass. SSUU n. 5160 del 04/03/2009 aveva affermato il seguente principio di diritto: “L’invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria (nella specie, memoria di costituzione in giudizio comprensiva di domanda riconvenzionale) -al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione- realizza un deposito dell’atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un’attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un “nuncius”, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.; in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell’atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione”).
Quel principio di diritto appare essere rimasto isolato e per vero forse anche limitato ai giudizi soggetti al rito del lavoro, in ogni caso è stato pacificamente travolto dalla decisione della medesima Cassazione del 2013 più sopra richiamata.
In questo procedimento gli unici appigli per valutare la legittimità della costituzione appaiono essere le ordinarie regole disciplinate dagli artt. 166 e 167 c.p.c.
Alla luce delle superiori considerazioni va dichiarata non regolarmente costituita la resistente R. S.r.l. di cui va pertanto dichiarata la contumacia e si può ora passare al merito del ricorso possessorio.
Con ricorso depositato in data 16/07/2014 le ricorrenti hanno chiesto la tutela possessoria del fondo di proprietà occupato da una gru ivi collocata dalla resistente -Società S.r.l.- in forza di apposito accordo tra la -Società S.r.l.- e la -Società1 S.r.l.- con la quale ultima le ricorrenti avevano stipulato un accordo per la messa in disponibilità del terreno per la durata di mesi dodici a fronte di un corrispettivo.
Terminati i lavori a cui la gru era adibita la stessa non veniva rimossa dal fondo nonostante le diffide intercorse.
Le ricorrenti, con comunicazione del 20/11/2013, diffidavano le controparti alla rimozione della gru e per tutta risposta, in data 17/02/2014, la -Società 1 S.r.l.- comunicava la già intervenuta fine dei lavori ma soprattutto che la gru non era ancora stata rimossa per una controversia sorta tra la -Società 1 S.r.l.- e la -Società S.r.l.- in ragione della quale la -Società S.r.l.- aveva diffidato la -Società 1 S.r.l.- dal rimuovere la gru dal fondo di proprietà delle ricorrenti.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Va in primo luogo rilevata la tempestività del ricorso possessorio dovendosi qualificare lo spoglio ai sensi dell’art. 1170 c.c. così come deciso da Cass. Sez. 2 n. 13417 del 29/05/2013 in cui si è affermato che “La lesione possessoria consistente nel rifiuto della restituzione di un fondo opposto dal detentore qualificato al possessore mediato, accompagnato dall’opposizione fatta contro quest’ultimo e perciò dalla manifestazione dell’avvenuta interversione, configura uno spoglio semplice, riconducibile alla previsione di cui all’art. 1170, terzo comma, cod. civ., il quale disciplina la cosiddetta azione di manutenzione recuperatoria, idoneamente esperibile in presenza delle condizioni soggettive e temporali contemplate dal comma precedente”.
Le ricorrenti, pur concedendo in locazione il terreno al fine di collocarvi la gru, mai hanno perso il possesso dovendosi qualificare le altre parti al più come detentrici qualificate sicché ricorrono le condizioni soggettive e temporali del secondo comma dell’art. 1170 c.c..
Nel testo della motivazione della sentenza citata si rinviene esattamente la situazione di fatto oggetto del presente giudizio.
In particolare va condivisa l’osservazione della citata sentenza laddove ha ritenuto di ricordare che l’atto temporalmente rilevante è quello che nasce da un atto esteriore con cui il debitore manifesti la volontà di mutare il proprio rapporto giuridico con il bene ponendo in essere una interversione del possesso.
Alla luce della documentazione prodotta, in particolare il doc. 3 che è la risposta alla diffida inviata dalle ricorrenti ad entrambe le controparti, si evince la chiara volontà della-Società S.r.l.- di rifiutare la riconsegna del terreno avuto a disposizione per collocarvi la propria gru arrivando addirittura a diffidare la -Società 1 S.r.l.- dal provvedere a propria cura e spese dal rimuovere la gru dal fondo.
Tale comunicazione ha sicuramente rappresentato per le ricorrenti una chiara manifestazione di volontà della -Società S.r.l.-, unita al suo ennesimo silenzio qualificato non essendosi nemmeno premurata di rispondere alla diffida inviata dalle proprietarie del fondo, e pertanto da tale data vanno fatti decorrere gli effetti temporali del 1170 c.c..
A fronte del rifiuto nella riconsegna del fondo, pur a fronte della ampia scadenza del termine concesso, il ricorso deve essere accolto e la resistente va condannata a reintegrare il possesso (art. 1170 c. 3 c.c.) del fondo spogliato così come descritto in narrativa.
Il risarcimento del danno va invece riservato all’introducenda fase del merito possessorio a fronte della struttura bifasica della tutela possessoria delineata dall’art. 703 c.p.c.
Le spese del presente procedimento seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. 55/2014 pubblicato nella G.U. del 02/04/2014 applicabile a questo procedimento giusto il disposto della norma transitoria contenuta nell’art. 28 del suddetto regolamento, così come stabilito anche da Cass. SSUU n. 17406/2012 del 25/09/2012, evidenziando in particolare che nella presente causa tutti i valori medi per le fasi effettivamente tenutesi devono essere ridotti della metà in ragione della speditezza del procedimento e delle questioni introdotte dalle ricorrenti.
P.Q.M.
letto l’art. 703 c.p.c. e 1170 c. 3 c.c.
Ordina
1) a -Società S.r.l.-, in persona del legale rappresentante pro tempore, di ripristinare T., C. e M. nel possesso del fondo sito in -Comune-.
2) Condanna -Società S.r.l.-, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere a T., C. e M. le spese legali del presente procedimento che si liquidano in euro 357,24 per esborsi, euro 1.822,50 per compenso, oltre ad I.V.A., C.N.P.A. ed al rimborso delle spese forfettarie pari al 15% sul compenso ex DM 55/2014;
Manda alla cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti costituite.
Padova li 28/08/2014.
IL GIUDICE DESIGNATO
Dott. Giorgio Bertola