È una rinomata civilista ed esperta di diritto di famiglia, l’avvocato Micaela Ottomano. Dotata di una straordinaria caparbietà, che le ha consentito di ottenere eccellenti risultati nel corso della sua brillante carriera, la Ottomano ha deciso di rispondere, con la sua proverbiale disponibilità, alle domande di Fattitaliani con l’obiettivo di fare un po’ di chiarezza su tematiche di forte attualità.
Quali potrebbero essere i “benefici” se anche il nostro ordinamento introducesse il Divorzio breve?
Passare al divorzio breve significa ipotizzare quattro anni in meno per arrivare al divorzio, far risparmiare ai cittadini le parcelle per le cause di separazione e 100 milioni di euro l’anno allo Stato, con un abbattimento del contenzioso civile. Nello specifico si vuole dunque abrogare la legge 1° dicembre 1970, n. 898, limitatamente all’articolo 3, numero 2), lettera b), primo capoverso: In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale”.
I dati resi noti oggi dall’Istat confermano la crescita del numero di famiglie coinvolte nelle procedure di separazione e divorzio: negli ultimi tre anni, per ogni 1.000 matrimoni si sono registrate 311 separazioni e 182 divorzi…
Il nostro parlamento nonostante l’attenzione riposta sulla questione dai gruppi politici, è stato incapace di modificare una legge che per alcuni versi è da considerarsi fuori dal tempo e dalla ragionevolezza. Più volte il dibattito parlamentare ha generato iniziative di una certa portata: nel 2012 la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati aveva raggiunto l’accordo per una proposta unitaria che avrebbe dovuto condurre in tempi relativamente brevi, (ma la proposta si è poi arenata in Commissione Affari Costituzionali), alla riduzione da tre anni ad un anno della separazione necessaria per poter presentare domanda di divorzio. Il termine sarebbe salito a due anni se fossero stati presenti figli minori”.
La normativa vigente nel nostro paese stabilisce invece che, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale.
Quella relativa al Divorzio breve è una legge molto attesa che interessa larghi strati della popolazione italiana”. E’ in atto infatti un cambiamento inconfutabile: diminuiscono i matrimoni, soprattutto quelli in Chiesa (per definizione matrimoni concordatari, che in base agli accordi tra lo stato italiano e la santa sede del 1929 consentono la produzione di effetti non solo religiosi ma anche civili), aumentano le coppie di fatto e i divorzi e da dati recenti si evince che meno dell’1% dei coniugi separati torna sui propri passi. Ancora una volta, solo la spinta popolare potrà imporre una riforma così semplice quanto contrastata. Ma nonostante in molte piazze italiane nello scorso anno sono stati allestiti i cosiddetti “banchetti” per raccogliere le firme sul referendum che si è posto l’obiettivo di introdurre il divorzio breve, eliminando l’obbligo dei 3 anni di separazione prima di poter chiedere il divorzio, purtroppo non si è giunti ancora al risultato sperato.
L’Italia è indietro rispetto agli altri paesi europei?
Siamo rimasti i soli nell’Unione Europea (eccetto l’Irlanda del Nord e la Polonia), a dover chiedere la separazione prima del divorzio. Per gli altri cittadini europei di fatto non esiste il vincolo della separazione prima del divorzio. Ciò ha indotto molti cittadini italiani (si ritiene più di 8.000) nell’ultimo quinquennio persino a chiedere una temporanea residenza all’estero per poter divorziare in tempi più brevi, chiosa l’avvocato Ottomano. Chi vuole tornare “libero” in tempi rapidi e ne ha facoltà economica sceglie questa “scorciatoia” per dribblare le lungaggini di una normativa che appare ormai superata. Basti pensare che per ottenere la separazione e poi il divorzio, se i coniugi non trovano un accordo, possono volerci 8 anni e fino ad 11 se la coppia è ad alto tasso di litigiosità e arriva fino all’ultimo grado di giudizio in Cassazione.
Una possibile soluzione?
Sarebbe opportuno regolare un altro aspettoquello della decorrenza dello scioglimento della comunione tra i coniugi, mediante un nuovo comma all’art. 191 c.c. che stabilisca che nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si sciolga nel momento in cui, in sede di udienza presidenziale, il presidente autorizza i coniugi a vivere separati. In base al testo vigente di tale disposizione, lo scioglimento della comunione dei beni tra marito e moglie consegue al passaggio in giudicato della sentenza di separazione personale. Una nuova regolamentazione consentirebbe di anticipare lo scioglimento della comunione al momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza presidenziale,autorizza i coniugi a vivere separati. Un effetto pratico, utile ed immediatamente fruibile.
Cambiando argomento: ultimamente, dopo l’annuncio di Balotelli che si è assunto la paternità della piccola Pia, si fa un gran parlare di Riconoscimento di un figlio naturale…
Il riconoscimento di figlio naturale costituisce un atto di autonomia privata mediante il quale il soggetto che lo effettua rende giuridicamente certa nei suoi confronti l’esistenza del rapporto di filiazione. Il riconoscimento determina in capo al riconosciuto l’acquisto della titolarità formale della filiazione come conseguenza legale in virtù della quale il figlio assume tutti i diritti e doveri propri della procreazione legittima. Dal riconoscimento, pertanto, derivano a favore del figlio naturale tutte le posizioni giuridiche connesse allo stato di filiazione, in primis l’obbligo di mantenimento che la giurisprudenza ha costantemente riconosciuto come diritto che sorge ex lege sin dal momento della nascita e rispetto al quale il genitore ha l’obbligo di provvedervi in proporzione delle proprie sostanze, sebbene il rapporto di filiazione sia stato accertato successivamente. Dato il suo carattere essenzialmente patrimoniale e decorrendo dal momento della nascita, la giurisprudenza ne riconosce la sussistenza anche per il periodo antecedente l’accertamento del rapporto di filiazione. Pertanto, il genitore che per primo ha riconosciuto il figlio e lo ha mantenuto, in seguito all’atto di riconoscimento da parte dell’altro genitore o della sentenza di accertamento giudiziale, potrà agire nei confronti di quest’ultimo per ottenere il rimborso della quota, allo stesso spettante, delle spese sostenute per il figlio. Naturalmente, dovrà essere fornita la prova di tali esborsi nonché del fatto che essi siano stati effettivamente compiuti nell’interesse del figlio. In ogni caso, non è escluso che, per la difficoltà dell’indagine, il giudice decida secondo equità. Da tenere presente che l’inadempimento del suddetto obbligo rileva altresì sul piano penale integrando la fattispecie di cui all’art. 570 c.p. che sanziona la “violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Fonte: fattitaliani.eu