Separazione: la durata del matrimonio rileva ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, ma anche una durata breve non esclude il pagamento.
Nel quantificare l’importo dovuto all’ex coniuge a titolo di mantenimento, a seguito di separazione o divorzio, il giudice deve tenere conto, insieme agli altri criteri elaborati dalla giurisprudenza, anche della durata del matrimonio: tanto più è stata breve l’unione coniugale, tanto meno dovrà essere versato a titolo di assegno periodico di mantenimento. Tuttavia, anche nel caso di matrimonio “lampo”, non è possibile eliminare completamente tale misura assistenziale, avendo essa la funzione di tutelare il coniuge economicamente più svantaggiato. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente ordinanza [1].
Secondo quanto ormai costantemente insegnato dalla giurisprudenza, la quantificazione dell’assegno di mantenimento o di quello divorzile deve avvenire attraverso due distinte fasi:
– innanzitutto va verificata l’esistenza del diritto al mantenimento da parte del coniuge richiedente, valutando l’eventuale inadeguatezza dei mezzi economici di quest’ultimo rispetto al tenore di vita goduto durante il matrimonio;
– in secondo luogo, il giudice deve determinare il concreto ammontare dell’assegno, tenendo conto delle condizioni economiche di ciascuna delle due parti. Di tanto abbiamo già parlato nella guida sull’assegno di mantenimento a cui si rinvia per ogni ulteriore chiarimento.
È proprio in questa seconda fase che si inseriscono una serie di valutazioni, da parte del giudice, che tengono conto del caso concreto, al fine di “personalizzare” l’importo sulla base delle specifiche esigenze. Pertanto, bisognerà tenere conto delle spese che il coniuge obbligato al mantenimento dovrà sostenere a seguito della separazione (nuovo appartamento in cui vivere, utenze, ecc.), la disponibilità della casa familiare da parte del coniuge beneficiario, l’apporto personale ed economico che ciascun coniuge ha conferito alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune.
Non in ultimo, il magistrato dovrà tenere conto della durata del matrimonio, considerando che un’unione breve non consente un assegno di mantenimento particolarmente elevato, ma non può neanche escluderlo completamente.
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LA SENTENZA
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 novembre 2015 – 5 febbraio 2016, n. 2343
Presidente Dogliotti – Relatore Bisogni
Fatto e diritto
Rilevato che:
l. Il Tribunale di Modena, con sentenza definitiva n. 480/2013, emessa nel giudizio di divorzio fra E.G. e A.C., ha rigettato la richiesta di. assegno divorzile della G. in relazione alla brevissima durata (tre mesi) del matrimonio.
2. Ha proposto appello la G. rilevando che il matrimonio era durato 15 mesi ed era fallito a causa del comportamento del C., che si era legato sentimentalmente con altra donna, dalla quale aveva avuto un figlio, nato nove mesi dopo la separazione, che era stata regolata consensualmente, con l’attribuzione in suo favore di un assegno mensile indicizzato di mantenimento di 593 euro. Ha inoltre rilevato l’ appellante che il C. dispone di un reddito elevatissimo (oltre 18.000 euro mensili) rispetto al suo (1.300 euro mensili) cosicché la separazione e il divorzio hanno inciso negativamente sul proprio tenore di vita rispetto a quello fruito nel corso del sia pur breve matrimonio.
3. La Corte di appello di Bologna con sentenza n. 159/14 ha confermato la decisione di primo grado
rilevando che seppure non fulminea come erroneamente affermato dal Tribunale di Modena la convivenza fu comunque brevissima per effetto della immediata constatazione dell’impossibilità di una unione duratura tale da giustificare aspettative e affidamento del coniuge che ha subìto la separazione nelle sostanze dell’altro.
4. Ricorre per cassazione E.G. deducendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5
comma 6 della legge n. 898/1970 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. e insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Ritenuto che:
5. Il primo motivo di ricorso è fondato in quanto la Corte di appello non ha reso una decisione conforme ai principi giurisprudenziali in materia di assegno divorzile. Questa Corte ha anche di recente (Cass. civ., sezione I, n. 11870 del 9 giugno 2015) ribadito che l’accertamento del diritto all’ assegno divorzile si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice verifica l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso dei rapporto, mentre nella seconda procede alla determinazione in concreto deil’ammontare dell’assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e dei contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché deal reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio. Così come può ritenersi costante l’affermazione nella giurisprudenza di legittimità per cui, in materia di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno previsto dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970, ma non anche – salvo casi eccezionali in cui non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi – sul riconoscimento del ‘assegno stesso, assolvendo quest’ultimo ad una finalità di tutela del coniuge economicamente più debole (Cass. civ. sezione 1 n. 7295 del 22 marzo 2013 e sezione VI-1 n. 6164 del 26 marzo 2015).
6. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per l’accoglimento del ricorso.
La Corte condivide tale relazione e pertanto
ritiene che il ricorso debba essere accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Bologna anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.
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[1] Cass. ord. n. 2343/16 del 5.02.2016.
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Fonte: www.laleggepertutti.it